Il quesito
Risposta di: Biancamaria STIVANELLO

La possibilità di offrire ai propri associati bibite o prodotti alimentari quali ad esempio barrette proteiche rappresenta un’utilità complementare allo svolgimento della pratica sportiva perché consente di soddisfare le esigenze dei partecipanti e di rendere più confortevole lo svolgimento dell'attività.
Come fare?
Il quesito del lettore offre lo spunto per analizzare condizioni, requisiti e adempimenti necessari per la corretta gestione di un punto vendita o di un punto di ristoro, prestando attenzione non solo al profilo fiscale ma anche all’aspetto amministrativo, considerato che l’esercizio di tali attività in difetto delle prescritte autorizzazioni, ancorché in luogo non aperto al pubblico e rivolte ai soli soci, comporta l’applicazione di sanzioni amministrative e la chiusura dell’esercizio (limitatamente alla vendita/somministrazione).
L’esame della normativa di riferimento è qui riferito alle leggi statali e va pertanto integrato e approfondito con la legislazione regionale che disciplina le attività di somministrazione e di vendita di alimenti e bevande.
Innanzitutto è fondamentale distinguere tra attività di vendita di prodotti alimentari e somministrazione perché diverse sono le regole che sovraintendono tali attività sotto il profilo giuridico. La definizione legislativa è contenuta nell’art.1 della L.287/91 che individua la somministrazione come “vendita per il consumo sul posto, che comprende tutti i casi in cui gli acquirenti consumano i prodotti nei locali dell'esercizio o in una superficie aperta al pubblico, all'uopo attrezzati”.
Quando si tratti di somministrazione o di c.d.mescita interna, per le associazioni affiliate ad Enti le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’Interno ai sensi dell'art.3 comma VI lett.e) della L.287/91 come nel caso prospettato dal lettore sussistono le seguenti agevolazioni:
a) a fini fiscali, i corrispettivi anche specifici non si considerano commerciali secondo quanto previsto dall’art. 148 comma V t.u.i.r. (e parallelo art.4 d.p.r. 633/72 in materia di iva) a condizione che:
– la somministrazione sia effettuata presso la sede in cui viene svolta l’attività istituzionale;
– sia strettamente complementare alle attività istituzionali;
– sia effettuata nei confronti di soci, associati partecipanti o tesserati del medesimo ente nazionale
b) a fini amministrativi, l’attività può essere avviata a seguito di S.C.I.A. (segnalazione certificata di inizio attività) da presentare al Comune nel cui territorio si esercita l’attività nel rispetto delle seguenti condizioni:
– l’attività deve essere gestita direttamente dall’associazione;
– il locale, ove è esercitata la somministrazione, deve essere conforme alle norme e prescrizioni in materia edilizia e igienico-sanitaria attestate dal possesso delle prescritte autorizzazioni e quindi in particolare dall’autorizzazione igienico-sanitaria;
– l’associazione deve dichiarare di rispettare le condizioni previste dall’art.148 T.U.I.R. e in particolare, oltre all’assenza dello scopo di lucro e all’intrasmissibilità della quota, il rispetto delle clausole di democraticità della struttura, il diritto di voto per l’approvazione del rendiconto e di effettività del rapporto associativo;
– l’attività non deve essere aperta al pubblico e non deve avere accesso dalla pubblica via; non va pubblicizzata né deve risultare visibile dalla strada.
Non sono richiesti requisiti professionali ma gli addetti devono conseguire l'attestato HACCP allo scopo di garantire la sicurezza igienica.
Per completezza si precisa che se il sodalizio non è affiliato ad ente assistenziale, non troverà applicazione l’agevolazione fiscale sulla de-commercializzazione dei corrispettivi specifici derivanti dal bar/punto di ristoro interno e tali proventi andranno qualificati invece come commerciali, con applicazione del regime ex L.398/91 e salve le precisazioni a seguire sulla connessione agli scopi istituzionali. Sotto il profilo amministrativo, le associazioni non aderenti agli enti assistenziali potranno avvalersi della procedura prevista dal medesimo d.p.r. 235/01 all’art.3 che non prevede la S.C.I.A. bensì la presentazione di domanda sottoposta al termine di quarantacinque giorni di silenzio assenso così da consentire al Comune di assolvere al compito di verificare che gli statuti contengano le clausole sull’effettività del rapporto associativo e che garantiscano l’effettivo svolgimento di attività istituzionale.
Quando invece si tratti di vendita di bevande e/o prodotti alimentari (ovvero destinata a non essere consumata sul posto e in assenza di attrezzature adibite al consumo come tavolini, sedie, mensole, bicchieri, posate, piatti e simili) l’attività deve qualificarsi sempre come attività commerciale in quanto l’art. 148 comma 4 T.U.I.R. (e parallelo art. 4 d.p.r. 633/72 in materia di IVA) prevede che la vendita di beni nuovi sia in ogni caso – e quindi anche se rivolta ai soci e in diretta attuazione degli scopi istituzionali – commerciale. Il sodalizio dovrà pertanto chiedere l’attribuzione della partita IVA e potrà applicare il regime della L. 398/91. Al riguardo si ricorda che secondo la Circolare n. 18/E del 1/8/2018 detto regime agevolativo sarebbe applicabile soltanto alle prestazioni commerciali connesse alle attività istituzionali, tra le quali è inclusa l’attività di somministrazione (si intende per i sodalizi che non aderiscano ad enti assistenziali) o di vendita dei prodotti, purché siano strutturalmente funzionali all’attività sportiva dilettantistica e vengano effettuate nel contesto dell’attività sportiva e senza l’impiego di strutture e mezzi organizzati per fini di concorrenzialità sul mercato. Quindi, prudenzialmente, in accordo con le interpretazioni fornite dalla circolare, può andar bene un piccolo punto vendita o un piccolo punto di ristoro, aperti soltanto in concomitanza delle attività sportive perché funzionali e accessorie alle stesse ma non l’organizzazione e la gestione di veri e propri bar o negozi, avulsi dal contento sportivo e idonei a offrire servizi e prodotti destinati alla generalità degli utenti, che altrettanto prudenzialmente andrebbero trattate in regime ordinario.
Sotto il profilo amministrativo, il punto vendita è sottoposto a S.C.I.A. per spacci interni secondo quanto previsto dall’art.16 del D.Lg.vo 114/1998 e successive modifiche e integrazioni che richiede, tra le altre condizioni, anche il rispetto dell’idoneità dei locali (non prevede l’autorizzazione igienico-sanitaria necessaria invece per la somministrazione, riferendosi esclusivamente alla vendita di prodotti chiusi e confezionati)
Trattandosi di vendita di prodotti alimentari vanno rispettati, oltre ai requisiti morali previsti in generale per l’esercizio di vendita, anche specifici requisiti professionali; la normativa di riferimento è contenuta nell’art. 71 del D.Lg.vo n. 59/2010 che richiede -in via alternativa – il possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:
a) avere frequentato con esito positivo un corso professionale per il commercio, la preparazione o la somministrazione degli alimenti, istituito o riconosciuto dalle regioni o dalle province autonome di Trento e di Bolzano (in sostanza è il corso ex REC);
b) avere, per almeno due anni, anche non continuativi, nel quinquennio precedente, esercitato in proprio attività d'impresa nel settore alimentare o nel settore della somministrazione di alimenti e bevande o avere prestato la propria opera, presso tali imprese, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla vendita o all'amministrazione o alla preparazione degli alimenti, o in qualità di socio lavoratore o in altre posizioni equivalenti o, se trattasi di coniuge, parente o affine, entro il terzo grado, dell'imprenditore, in qualità di coadiutore familiare, comprovata dalla iscrizione all'Istituto nazionale per la previdenza sociale;
c) essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche triennale, o di altra scuola a indirizzo professionale, almeno triennale, purché nel corso di studi siano previste materie attinenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti;
Anche per lo spaccio interno, come per la mescita, l’attività deve essere effettuata in locali non aperti al pubblico, che non abbiano accesso dalla pubblica via; in pratica non va organizzata una vetrina con esposizione dei prodotti visibile dall’esterno.