Il quesito
Risposta di: Barbara AGOSTINIS
Anzitutto riportiamo integralmente il quesito del nostro lettore:
- Premettendo la distinzione tra soci, tesserati e terzi (clienti).
- Premettendo anche che mi sembra si sia sdoganato il concetto, ritenuto per ignoranza eretico, che le associazioni/società sportive possano cercare opportunità di business per sostenersi economicamente.
- Premettendo infine che in molte discipline sportive coesiste un modo di praticarle a sfondo per così dire più “competitivo” (allenamenti e gare in ambito enti CONI) e uno più “ludico ricreativo” (gruppi di amici per svariate occasioni tipo rimpatriate, compleanni addio al celibato/nubilato, team building aziendali ecc) e che quindi all’interno di una asd/ssd questa parte ludico ricreativa può rappresentare un opportunità di business che può aiutare a sostenersi economicamente e prosperare:
come consigliate di trattare tale attività? - Se ben ho interpretato tutti gli articoli che ho letto e i concetti espressi nei corsi ai quali ho partecipato trattasi di soci e/o tesserati per quel che riguarda l’attività “competitiva” e di terzi per quel che riguarda l’attività ludico ricreativa dato che questi verrebbero a praticare la disciplina per divertirsi tra amici e non per diventare soci e/o partecipare a gare organizzate da enti e per quella finalità anche allenarsi.
- Da un punto di vista sanitario è necessario per non incorrere in gravi responsabilità richiedere a terzi il certificato medico per attività agonistica, non agonistica o di altri tipi?
- Da un punto di vista assicurativo è necessario per non incorre in gravi responsabilità assicurare i terzi? Con che tipo di assicurazioni? Do per scontato che l’impianto deve essere messo in sicurezza che l’attività venga fatta da soci, tesserati o terzi.
- In caso di accesso al centro sportivo di non soci quindi da parte di terzi o tesserati non soci soci trattasi di conseguenza di luogo aperto al pubblico? O i tesserati vengono equiparati ai soci anche nella determina del luogo privato e non accessibile al pubblico?
- Gli istruttori svolgendo attività similari sia per seguire l’attività”competitiva” che “ludico ricreativa” possono essere gestiti come collaboratori sportivi qualora non vi sia subordinazione?
- Sono molto dubbioso sul punto 5 avendo letto in un articolo: “chiunque svolga sport liberamente o presso organizzazioni, con il fine del miglioramento dello stato personale senza obiettivi competitivi con o senza tessera presso enti sportivi (FSN, DSA, EPS), svolgendo alcune attività specifiche, con fine puramente ricreativo non ricade in obbligo di certificazione medica. Non sono tenuti a certificazione di idoneità neppure i tesserati che svolgono attività sportive che non comportano impegno fisico ed i tesserati che non svolgono alcuna attività sportiva (es. dirigenti). N.B. Poiché ogni Regione ha facoltà di derogare la normativa nazionale, in virtù della autonomia in materia sanitaria, controllate anche le delibere regionali del vostro territorio!”
Quindi anche a chi è tesserato ma pratica attività “ludico ricreativa” anche in gruppo ma senza allenarsi per gare e tornei si potrebbe evitare di richiedere il certificato medico?
Grazie per una vostra risposta
Il quesito del gentile lettore pone l’attenzione su vari temi, tra cui quello, sempre attuale, delle certificazioni mediche e della tutela sanitaria in ambito sportivo.
Tutela sanitaria e copertura assicurativa
La tripartizione fra la figura del socio, tesserato e cliente si riflette, condizionandola, sulla tutela sanitaria.
Seppure la distinzione sopra menzionata sia preliminare all’analisi di una simile tematica, può essere affrontata in modo sintetico, essendo stata analizzata compiutamente in numerosi quesiti e articoli.
L’associato è colui il quale è legato al sodalizio sportivo da un rapporto a tempo indeterminato (salvo recesso o dimissioni) poiché intende partecipare alla vita associativa, condividendone finalità ed ideali, diversamente dal tesserato che è legato, con rapporto di durata annuale, ad un organismo di riferimento (FSN; DSA; EPS) per potere praticare attività sportiva.
Considerate le diverse finalità sottese allo status di socio e tesserato, le due figure possono, ma non necessariamente, coincidere.
Da ultimo, il “cliente” è un soggetto non legato al sodalizio sportivo ne, più in generale, al mondo sportivo poiché utilizza l’impianto sportivo con un rapporto di natura commerciale.
La tutela sanitaria presenta caratteristiche differenti per ognuna di queste figure.
Nel nostro ordinamento giuridico la tutela sanitaria ex lege riguarda i praticanti attività sportiva agonistica e non agonistica.
In particolare, la disciplina della tutela sanitaria relativa all’attività sportiva agonistica è contenuta nel Decreto del Ministero della Sanità 18 febbraio 1982 (“Norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica”).
Ai sensi di tale disciplina normativa, “coloro che praticano attività sportiva agonistica devono sottoporsi previamente e periodicamente al controllo dell’idoneità specifica allo sport che intendono svolgere o svolgono” (art.1), compiendo gli accertamenti previsti, in rapporto allo sport praticato, nelle tabelle A e B di cui all’allegato 1 del decreto citato, con la periodicità indicata nelle stesse tabelle.
Nel nostro ordinamento non vi è una definizione generale di attività agonistica, che è demandata alle Federazioni Sportive Nazionali o agli enti sportivi riconosciuti, muovendo dal presupposto che non possa essere offerto un significato univoco per tutti gli sport.
Il fatto che le Federazioni hanno adottato un criterio anagrafico per cui solo al compimento di una certa età, l’attività sportiva può essere considerata agonistica, rende difficile la distinzione fra attività agonistica e non agonistica.
Una simile difficoltà è emersa non appena è stata emanata la normativa in materia; i numerosi dubbi in merito hanno indotto il Ministro della Sanità a emanare una circolare (in data 31 gennaio 1983 n. 7) con intento chiarificatore di alcuni aspetti controversi della normativa concernente l’attività sportiva agonistica.
Ai sensi di tale normativa, costituisce attività sportiva agonistica “quella forma di attività sportiva praticata sistematicamente e/o continuativamente e soprattutto in forme organizzate dalle Federazioni Sportive Nazionali, dagli Enti di Promozione Sportiva riconosciuti dal CONI e dal Ministero della Pubblica Istruzione per quanto riguarda i Giochi della Gioventù a livello Nazionale, per il conseguimento di prestazioni sportive di un certo livello. L’attività sportiva agonistica non è quindi sinonimo di competizione. L’aspetto competitivo, infatti, che può essere presente in tutte le attività sportive, da solo non è sufficiente a configurare nella forma agonistica una attività sportiva”
Al ricorrere degli elementi costitutivi la definizione citata, il praticante attività sportiva deve sottoporsi alla visita per ottenere l’idoneità alla pratica sportiva agonistica. Qualora l’atleta pratichi più sport, deve sottoporsi ad una sola visita di idoneità con periodicità annuale (art. 3). La circostanza per cui la visita, in tal caso, è comprensiva di tutte le indagini contemplate per i singoli sport, comporta che la validità si estenda a tutte le discipline menzionate.
Anche in tal caso, in cui verrà rilasciato un documento unico attestante l’idoneità agli sport indicati, si tratta di una certificazione specifica (riferita solo ed esclusivamente alle attività sportive espressamente menzionate). Caratteristica precipua del certificato di idoneità alla pratica sportiva agonistica è la specificità, trattandosi di una certificazione la cui validità è limitata alla sola disciplina menzionata al momento del rilascio.
Proprio in virtù di una simile caratteristica (la specificità), il certificato, la cui presentazione, da parte dell’interessato, è condizione indispensabile per la partecipazione ad attività agonistiche, deve essere conservato presso la sportiva di appartenenza (art. 5).
Alcune Regioni, tra le quali la Regione Marche hanno introdotto un Registro regionale delle idoneità sportive, ove il medico dello sport è tenuto ad inserire – al termine della visita – la dichiarazione di idoneità; una simile modalità di registrazione consente di verificare agevolmente il possesso dell’idoneità da parte dell’atleta. Tale (possibile) modalità di verifica non sostituisce l’obbligo di conservazione presso la società di appartenenza.
Diverse le caratteristiche della certificazione di idoneità alla pratica sportiva non agonistica. Si tratta infatti di un’idoneità generica a svolgere qualsiasi disciplina sportiva a livello non agonistico.
Il fatto che l’interessato possa trovarsi nella situazione di dovere presentare il certificato a più sodalizi, in quanto autorizzato a svolgere qualunque attività sportiva avente carattere non agonistico, può comportare il dovere di esibire copia della documentazione.
Alcune regioni hanno regolato tale aspetto; ad esempio la Regione Marche (con delibera n. 1438/2007) ha previsto una relazione di idoneità funzionale, utilizzabile per tutte e attività sportive non agonistiche praticate, in alternativa alla certificazione di idoneità non agonistica.
Anche i praticanti attività sportiva non agonistica1 devono sottoporsi a una visita di idoneità2, finalizzata a ottenere la certificazione di idoneità all’attività sportiva non agonistica, attualmente regolata dal Decreto Balduzzi.
La certificazione conseguente al controllo medico attestante l’idoneità fisica alla pratica di attività sportiva di tipo non agonistico, ha durata annuale ed è rilasciata dal medico di medicina generale o dal pediatra di libera scelta, relativamente ai propri assistiti, o dal medico specialista in medicina dello sport su apposito modello predefinito e allegato al decreto Balduzzi.
Presupposto comune a entrambe le tipologie di certificati è il tesseramento dei praticanti.
Secondo quanto disposto da una circolare del ministero della Salute, l’obbligo della certificazione è imposto ex lege ai tesserati, che abbiano compiuto i sei anni di età (per bambini di età inferiore non è richiesto, salvo diverso parere del pediatra).
La circostanza per cui un simile obbligo sia riservato – dal legislatore – ai praticanti attività sportiva legati all’ordinamento sportivo tramite il tesseramento, comporta che un’eventuale mancata richiesta di tale documento è considerato un comportamento colposo (cd. colpa specifica) del Presidente del sodalizio, possibile presupposto di responsabilità in caso di infortuni.
Seppure non sia imposto analogo adempimento nei confronti dei clienti o dei soci non tesserati, la pretesa della certificazione potrebbe essere un comportamento prudente da parte del Presidente del sodalizio, idoneo a evitare ipotesi di responsabilità a suo carico per eventuali infortuni dei praticanti.
Nel nostro ordinamento è invero presente la figura della cd. colpa generica, ravvisabile in situazioni di negligenza ed imprudenza, che, unitamente alla fattispecie di cui all’art. 40 c.p. “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”, potrebbe costituire ipotesi di responsabilità per il presidente in caso di infortuni, qualora si dimostrasse che l’evento lesivo o il decesso del praticante avrebbe potuto essere evitato se lo stesso si fosse sottoposto a controllo medico.
Unica deroga all’obbligo di certificazione per i praticanti tesserati è stata codificata dal decreto Balduzzi (all’art.4) con riguardo all’attività di particolare ed elevato impegno cardiovascolare patrocinate da Federazioni sportive, Discipline associate o da Enti di promozione sportiva. Ai sensi di tale disciplina, “Per la partecipazione di non tesserati alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline associate, agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI a manifestazioni non agonistiche o di tipo ludico-motorio, caratterizzate da particolare ed elevato impegno cardiovascolare, patrocinate dai suddetti organismi, quali manifestazioni podistiche di lunghezza superiore ai 20 Km, granfondo di ciclismo, di nuoto, di sci di fondo o altre tipologie analoghe, il controllo medico comprende la rilevazione della pressione arteriosa, un elettrocardiogramma basale, uno step test o un test ergometrico con monitoraggio dell’attività cardiaca e altri accertamenti che il medico certificatore riterrà necessario per i singoli casi. Il certificato è rilasciato dai medici di cui all’art. 3, comma 2, su apposito modello predefinito”.
L’obbligo, posto a carico del gestore dell’impianto sportivo, di garantire che l’attività sportiva venga svolta all’interno dell’impianto in condizioni di sicurezza, comporta che, in assenza di tale requisito, possa essere responsabile per eventuali infortuni ai praticanti.
Muovendo da una simile premessa, è fortemente raccomandato ai gestori di dotarsi di un’adeguata polizza assicurativa per eventuali incidenti che potrebbero verificarsi ai praticanti durante lo svolgimento di attività sportiva all’interno dell’impianto.
La tutela assicurativa per gli infortuni che i praticanti potrebbero procurarsi (da sé e non come conseguenza di responsabilità del gestore) è obbligatoria ed è una conseguenza automatica del tesseramento; considerato che non può pervenirsi ad analoghe conclusioni per i clienti, è opportuno accertarsi di essere in possesso di una polizza adeguata, in grado di indennizzare eventuali infortuni che potrebbero verificarsi a loro carico durante lo svolgimento dell’attività sportiva.
Analoga attenzione deve essere posta con riguardo alla polizza assicurativa per responsabilità civile. Nonostante normalmente tale copertura sia una conseguenza automatica del rapporto di affiliazione, è necessario verificare con cautela l’estensione della copertura assicurativa per avere la certezza che sia idonea alle proprie esigenze in termini di sinistri indennizzabili e di estensione della copertura.
I compensi sportivi
Da ultimo, non certo per importanza, in merito al trattamento giuridico fiscale dei collaboratori non subordinati, è necessario compiere alcune riflessioni, necessariamente sintetiche, considerato l’elevato numero di articoli e quesiti in cui si è affrontato tale argomento.
Attualmente, prima dell’entrata in vigore della riforma dello sport (d. lgs 36/2021), la norma di riferimento è l’art. 67 T.U.I.R. dispone (comma 1, lett. m) che: : “Sono redditi diversi se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:
m) le indennità di trasferta, i rimborsi forfetari di spesa, i premi e i compensi erogati nell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche dal CONI, dalle Federazioni sportive nazionali, dall’Unione Nazionale per l’Incremento delle Razze Equine (UNIRE), dagli enti di promozione sportiva e da qualunque organismo, comunque denominato, che persegua finalità sportive dilettantistiche e che da essi sia riconosciuto.
Tale disposizione si applica anche ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di carattere amministrativo-gestionale di natura non professionale resi in favore di società e associazioni sportive dilettantistiche”.
Come è evidente, la norma, ai fini della legittima erogazione dei cd. compensi sportivi, indica una serie di requisiti che devono necessariamente essere presenti e altri, dei quali è necessaria l’assenza.
In particolare, tali somme possono essere corrisposte ai collaboratori dal CONI, Federazioni Sportive nazionali, Discipline sportive associate, Enti di promozione sportiva e da qualunque organismo da essi riconosciuto purchè persegua finalità sportive dilettantistiche. Il riferimento a “qualunque organismo …” allude evidentemente ai sodalizi sportivi dilettantistici riconosciuti dal CONI – attraverso l’iscrizione al Registro delle società ed associazioni sportive dilettantistiche tenuto dal CONI (Registro CONI) – che è l’Unico ente certificatore dell’effettivo svolgimento dell’attività sportiva dilettantistica.
Al ricorrere dei requisiti sopra citati, l’erogazione dei cd. compensi sportivi può ritenersi legittima, nell’esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica, purché il percettore non svolga tale attività in qualità di lavoratore dipendente (espressamente esclusa dal lettore) o libero professionale.
Quest’ultima situazione può riscontrarsi – anche in ipotesi di riqualificazione del rapporto a seguito di accertamento – laddove ricorrano una serie di indici cd. professionalizzanti, si pensi, ad esempio alla pluricommittenza, o alla monocommittenza con impegno assiduo, al possesso di titoli di studio professionalizzanti, alla percezione di un compenso elevato.
L’erogazione legittima dei compensi sportivi è subordinata all’esistenza “dell’Esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica”.
Nella prassi, un simile concetto è stato – dapprima – interpretato in senso restrittivo (Agenzia delle Entrate Risoluzione n. 34/E del 26/3/2001), ritenendo che “Il regime agevolativo è circoscritto ai compensi corrisposti a soggetti che partecipano direttamente alla realizzazione della manifestazione sportiva a carattere dilettantistico. Atleti dilettanti, allenatori, giudici di gara, commissari di gara, dirigenti sportivi tesserati: soggetti le cui prestazioni sono funzionali alla manifestazione sportiva dilettantistica” e (Enpals, direzione generale, 27/11/2008) che “I compensi costituiscono reddito diverso per i percettori soltanto qualora l’attività sportiva essi prestata sia funzionale allo svolgimento della manifestazione sportiva ovvero sia connessa alla realizzazione di gare o manifestazioni sportive a carattere dilettantistico”. È oltremodo evidente che, anche in presenza di una simile interpretazione, l’arbitro, in quanto figura indispensabile allo svolgimento della manifestazione sportiva, fosse legittimato alla percezione di simili somme.
Il concetto di esercizio di esercizio diretto di attività sportiva dilettantistica, oggetto di espresso provvedimento normativo (in seguito all’emanazione dell’art. 35 comma 5 D.L. 30/12/08 n. 207, convertito in L. 27/2/09 n. 14), è stato esteso fino a comprendere “la formazione, la didattica, la preparazione e l’assistenza all’attività sportiva dilettantistica”.
L’intervento normativo sopra citato ha ampliato il novero delle prestazioni riconducibili nell’ambito dell’esercizio diretto di attività sportive dilettantistiche – e quindi quello dei soggetti destinatari del regime di favore – eliminando di fatto il requisito del collegamento fra l’attività sportiva resa dal percipiente e l’effettuazione della manifestazione sportiva (Agenzia delle Entrate Risoluzione n. 38/E del 17/5/2010).
Il gentile lettore è sicuramente in grado di verificare l’esistenza dei requisiti richiesti dall’art. 67 T.U.I.R., conoscendo il caso concreto.
- Ai sensi dell’art. 3 del Decreto Balduzzi, si definiscono attività sportive non agonistiche quelle praticate dai seguenti soggetti: a) gli alunni che svolgono attività fisico-sportive organizzate dagli organi scolastici nell’ambito delle attività parascolastiche; b) coloro che svolgono attività organizzate dal CONI, da società sportive affiliate alle Federazioni sportive nazionali, alle Discipline associate, agli Enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI, che non siano considerati atleti agonisti ai sensi del decreto ministeriale 18 febbraio 1982; c) coloro che partecipano ai giochi sportivi studenteschi nelle fasi precedenti a quella nazionale. [↩]
- Dopo varie modifiche normative, il testo finale del decreto sopra citato, statuisce (art. 3, comma 3) che “E’ obbligatoria la preventiva misurazione della pressione arteriosa e l’effettuazione di un elettrocardiogramma a riposo, refertato secondo gli standard professionali esistenti. 4. In caso di sospetto diagnostico o in presenza di patologie croniche e conclamate e’ raccomandato al medico certificatore di avvalersi della consulenza del medico specialista in medicina dello sport e, secondo il giudizio clinico, dello specialista di branca”. [↩]