Il quesito
Risposta di: Claudio BOGGIAN

I contributi tra diverse realtà associative sono possibili.
Nel quesito si propone un’alternativa: l’erogazione liberale oppure il contributo.
L’erogazione liberale, o donazione, si verifica nel caso in cui le somme o i beni concessi da un donatore, l’associazione sportiva che elargisce, a un ente associativo non prevedano alcuna controprestazione da parte di quest’ultimo. Come indicato dal quesito, è sempre meglio dare tracciabilità ai flussi di denaro, auspicando anche un passaggio autorizzatorio attraverso gli organi sociali, seguendo quanto indicato nello statuto.
Come previsto dall’art. 78 d.p.r. 917/1986, che rimanda all’art. 15, comma 1 lett. i-ter) dello stesso Decreto, si detrae dall’imposta un importo pari al 19% delle erogazioni in denaro, fino a un massimo di euro 1.500,00, in favore dell’a.s.d., a condizione che il versamento sia “tracciabile”.
Nel caso in cui tali associazioni sportive siano anche iscritte al Runts (Registro unico nazionale del terzo settore), l’art. 83 comma 2 del d.lgs. 117/2017 prevede che le liberalità a favore di ETS (Enti del terzo settore) non commerciali sono deducibili dal reddito complessivo del soggetto erogatore nel limite del 10%.
In analogia con l’erogazione liberale, anche il contributo, laddove venga concesso a titolo di sostegno all’attività istituzionale dell’altro sodalizio e non quale “pagamento” a fronte di servizi ricevuti, rappresenta un’elargizione possibile e non soggetta a tassazione costituendo sostanzialmente una liberalità.
Ma se tale somma è erogata a fronte di una collaborazione tra i due enti, dove l’ente erogante si aspetta di ricevere una controprestazione di qualsiasi tipo, la formula dell’erogazione liberale o contributo non è corretta.
In questo ultimo caso l’elargizione assume il titolo di corrispettivo che denota sempre connotato commerciale, pur potendo tale provento beneficiare per il soggetto ricevente della defiscalizzazione (de-commercializzazione) sia ai fini delle imposte dirette (IRES, IRAP) che indirette (IVA): a tal fine è necessario che si riscontrino le condizioni previste dall’art. 148, co. 3, d.p.r. 917/1986, secondo cui “per le associazioni sportive dilettantistiche non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati”.
Quindi, alla luce di questa norma, non si considerano commerciali, e pertanto non sono soggette a IRES, le attività svolte:
– a fronte di corrispettivi specifici;
– purché dirette ad altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale; associati o partecipanti di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto danno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale; tesserati delle rispettive organizzazioni nazionali;
– in diretta attuazione delle finalità istituzionali disposte dallo statuto.
Per quanto riguarda l’ambito IVA, l’art. 4, comma 4, d.p.r. 633/72 sancisce che “si considerano effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole. Si considerano fatte nell’esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra scolastica della persona, anche se rese nei confronti si associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati delle rispettive organizzazioni nazionali”.
Dalla combinata lettura delle norme sopracitate, è possibile detassare tali tipologie di prestazioni in presenza però di determinate condizioni, ossia:
– entrambi i soggetti devono essere enti su base associativa e, per analogia, anche s.s.d. (quindi la norma non vale per i corrispettivi pagati da soggetti diversi da a.s.d./s.s.d., ad esempio per l’affitto delle strutture sportive);
– entrambe le associazioni (o s.s.d.) devono far parte della medesima organizzazione locale o nazionale (quindi la norma non vale se le due associazioni (o s.s.d.) sono affiliate a federazioni differenti. Sul punto si riscontra tuttavia qualche opinione più ampia volta a ritenere possibile la defiscalizzazione anche nel rapporto tra a.s.d./s.s.d. che siano entrambe iscritte al registro CONI – o, ora, al nuovo registro delle attività sportive del Dipartimento per lo sport – pur se non affiliate al medesimo Organismo di affiliazione;
– siano costituite per atto pubblico, scrittura privata autenticata o registrata;
– abbiano trasmesso il modello EAS;
– abbiano inserito in statuto le clausole contenute nel comma 8 dell’art. 148 del T.U.I.R.;
– abbiano svolto l’attività oggetto della transazione economica in diretta attuazione degli scopi istituzionali.
Anche in questo caso ribadiamo che è sempre meglio dare tracciabilità ai flussi di denaro, auspicando anche un passaggio autorizzatorio attraverso gli organi sociali, seguendo quanto indicato nello statuto.
* in collaborazione con il dott. Davide Zerbetto (Monselice – PD)