Il quesito
Risposta di: Francesco SISANI

L'art. 149 del T.U.I.R. si occupa della perdita della qualifica di ente non commerciale e chiude il Titolo II, capo III del Testo Unico, quasi a costituire una norma anti elusiva, tesa a escludere dalle agevolazioni fiscali, disciplinate agli articoli precedenti, quegli enti formalmente no profit ma sostanzialmente commerciali.
Secondo questa disposizione
'Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l'ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d'imposta' (comma 1).
Allo scopo di meglio specificare quando ciò si verifichi, la disposizione prosegue indicando alcuni elementi che si considerano sintomatici di tale prevalenza. Al comma 2, infatti, si afferma che
Ai fini della qualificazione commerciale dell'ente si tiene conto anche dei seguenti parametri:
a) prevalenza delle immobilizzazioni relative all'attivita' commerciale, al netto degli ammortamenti, rispetto alle restanti attivita';
b) prevalenza dei ricavi derivanti da attivita' commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti le attivita' istituzionali;
c) prevalenza dei redditi derivanti da attivita' commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalita' e le quote associative;
d) prevalenza delle componenti negative inerenti all'attivita' commerciale rispetto alle restanti spese.
È chiaro quindi che l'eventuale prevalenza dell'attività commerciale non possa emergere dalla mera superiorità degli introiti commerciali rispetto a quelli istituzionali, ma debba viceversa scaturire da un giudizio complessivo sull'attività, che coinvolga anche altre componenti come gli investimenti e i costi. In altre parole avere soltanto entrate di carattere commerciale non preclude in linea di principio la qualifica di ente non commerciale, e le connesse agevolazioni, laddove per esempio accanto a tale atti vità vi sia una (prevalente) attività istituzionale (p.es. avviamento al teatro, divulgazione di principi religiosi, supporto a soggetti deboli tramite la recitazione) svolta in via gratuita e dalla quale quindi non provengano ricavi, e le risorse reperite con l'attività commerciale vengano impiegate per lo svolgimento dell'attività istituzionale dell'ente, e vengano ovviamente rispettati gli altri requisiti previsti dalla normativa vigente (ad esempio trattandosi di un ente associativo il divieto di distribuzione anche indiretta di avanzi di gestione e di utili).
La risposta al quesito, dunque, dipende dalle concrete modalità di svolgimento dell'attività, perché laddove gli introiti commerciali (ticket) venissero totalmente reimpiegati per lo svolgimento dell'attività culturale dell'associazione, ad esempio per coprire le spese per l'organizzazione di nuovi spettacoli, o per organizzare corsi di recitazione, e così via, l'applicazione dell'art. 149 del T.U.I.R. non determinerebbe la perdita della qualifica di ente non commerciale.
Si ritiene viceversa, almeno dalle informazioni fornite nel quesito, che non possa trovare applicazione l'esonero di cui all'ultimo comma dello stesso art. 149, secondo cui 'Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili ed alle associazioni sportive dilettantistiche', in quanto non pare che l'associazione di cui al quesito possa considerarsi una associazione sportiva dilettantistica, dal momento che svolge unicamente una attività culturale ma non sportiva.
Paradossalmente, essa parrebbe rientrare in tale ultimo comma più in quanto ente religioso, che in quanto sodalizio sportivo …