Il quesito
Risposta di: Pietro CANTA
Per le associazioni sportive dilettantistiche che sono considerate anche associazioni di promozione sociale, tramite l'affiliazione ad un Ente di Promozione Sportiva o ad una delle Federazioni Sportive Nazionali che hanno ottenuto il riconoscimento del Ministero dell'Interno, ai sensi dell'articolo 3, comma 6, lettera e) della Legge n. 287 del 25/08/1991: "non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l'attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, semprechè le predette attività siano diretta attuazione degli scopi istituzionali …".
Tale previsione, che non obbliga l'associazione a prendere la "partita iva", è limitata alla somministrazione ai soli soci del circolo (o a tesserati della medesima organizzazione nazionale), nell'ambito dell'attività istituzionale e complementare alla stessa e non si può estendere all'attività di "ristorazione". Non è richiesto il possesso dei titoli abilitativi (ex REC).
Va da sé che, al di fuori dalle sopra indicate previsioni, il bar deve intendersi "attività commerciale" ed in questo caso sia se gestito internamente che affidato a terzi, deve avere tutte le caratteristiche di un esercizio commerciale, ferma la possibilità per le associazioni in regime ex lege 398/91 di valersi dell'esonero da scontrini e ricevute fiscali. Il bar commerciale potrà essere anche "aperto al pubblico", se viene presentata apposita S.C.I.A. al Comune, ed in ogni caso non si dovrà trascurare la procedura di autocontrollo (H.A.C.C.P. – Analisi dei rischi e controllo dei punti critici del ciclo produttivo) e soprattutto l'autorizzazione igienico-sanitaria dei locali all'ASL competente.