Il quesito
Risposta di: Claudio BOGGIAN

Il divieto di trasmissibilità della quota sociale deve essere inserito nello Statuto
La decommercializzazione delle attività effettuate, in diretta attuazione dei fini istituzionali, nei confronti dei soci soggiace alla condizione, che lo statuto
a) oltre che "a norma", sia anche registrato
b) che sia stato inviato il modello EAS
c) che siano rispettati i requisiti statutari previsti dall’art. 148, c. 8, del T.U.I.R.
In questo ultimo caso il rispetto non può limitarsi a una mera previsione statutaria (requisito formale) ma deve trovare esatta corrispondenza nell’operato dell’associazione (requisito sostanziale).
Le clausole che il comma 8 richiede negli statuti (lo ricordiamo, redatti nella forma della scrittura privata registrata o autenticata o dell’atto pubblico) sono, tra gli altri, le seguenti:
– divieto di distribuzione, anche indiretta, di utili o avanzi di gestione, nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;
– obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoga o a fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di cui all’art. 3, c. 190, legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge;
– intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.
Quindi, come si evince dalla normativa sopra esposta, in caso di scioglimento del patto associativo, il patrimonio sarà devoluto a ente con finalità analoga, che può essere indicato dalla stessa associazione; non si può in alcun modo ripartire alcunché tra i vecchi associati.