Il quesito
Risposta di: Barbara AGOSTINIS

La formulazione del quesito, nell'orginale alquanto prolissa, può essere ricondotta al doveroso rispetto del principio di democraticità.
La disciplina dell’ordinamento interno dei sodalizi sportivi, volta a regolare il rapporto associativo – si pensi, ad esempio, allo status di socio, alle modalità di ammissione e alle ipotesi di decadenza o di esclusione, anche laddove è rimessa agli accordi degli associati (ex art. 36 c.c. per le associazioni prive di personalità giuridica) – deve rispettare le regole fondamentali e inderogabili sancite dall’art. 90 legge 289/02, tra le quali si evince l’osservanza del principio di democraticità.
Quest'ultimo, richiamato anche dall’art. 29 dello statuto del CONI (“Le società e le associazioni sportive riconosciute ai sensi dell’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modifiche e integrazioni, fatti salvi i casi previsti dall’ordinamento ed i casi di deroga autorizzati dal Consiglio Nazionale, non hanno scopo di lucro e sono rette da statuti e regolamenti interni ispirati al principio democratico e di pari opportunità, anche in conformità ai principi fondamentali emanati dal Consiglio Nazionale”) mira a garantire il coinvolgimento degli associati ai processi decisionali dell’ente sportivo.
La realizzazione e l'attuazione di un simile principio presuppone l’osservanza di alcuni “passaggi”, si pensi, tra l’altro, alla regolare convocazione dell’assemblea, nel rispetto delle disposizioni statutarie. Al riguardo, è bene sottolineare l’importanza di prevedere modalità di convocazione “agili ed economiche” in grado di attestare, anche a distanza di tempo, l’avvenuta convocazione.
Il rispetto del principio di democraticità, in definitiva, non impone la necessaria ed effettiva partecipazione di tutti gli associati, ma il loro coinvolgimento, ovvero la possibilità, concessa a ciascuno, di prendere parte al processo decisionale almeno nell'assemblea che viene convocata annualmente per la discussione e approvazione del bilancio.
Un simile obbligo non esclude la possibilità di svolgere altre riunioni finalizzate al coinvolgimento dei soci al procedimento decisionale relativo ad attività che li riguardano. Importante è "lasciare traccia" delle riunioni svolte attraverso la redazione di verbali che attestino lo svolgimento corretto della procedura (indicando, tra l'altro, modalità di convocazione, luogo di svolgimento della riunione, identificazione dei soci che vi hanno partecipato, argomenti trattati e decisioni prese).
Con particolare riguardo alla richiesta relativa alla lettera a), non sembrano esserci particolari difficoltà a rispondere in senso affermativo, seppure con alcune precisazioni. Composizione, formazione e i poteri del Consiglio direttivo sono oggetto di autonomia statutaria, pertanto è doveroso verificare tali aspetti nell'ambito del proprio statuto. Non si comprende perché invitare tutti i soci alla riunione del Consiglio direttivo invece che convocare un'assemblea dell'associazione. Altra perplessità riguarda la partecipazione, con diritto di voto, dei soci interessati dall'argomento, qualora non si tratti di consiglieri. Una soluzione, ovviamente purchè praticabile con riferimento alle attività sportive e ai numeri dei praticanti, potrebbe essere quella di prevedere delle sezioni dell'associazione, riferibili alle singole attività sportive, in grado di "autodeterminarsi", con riguardo alla gestione delle attività di propria spettanza.
E' altrettanto evidente la possibilità, ovvero la necessità che le decisioni siano verbalizzate con la attestazioni dei soci presenti.
Non è invero chiaro il contenuto dell'ultimo inciso, ovvero la precisazione che "Naturalmente per il normale disbrigo delle pratiche di competenza del Consiglio Direttivo, che riguardano l’attività e gli impegni di tutta l’Associazione, le riunioni rimarrebbero con lo status di norma".