Il quesito
Risposta di: Barbara AGOSTINIS

L’adeguamento alle misure di contenimento del COVID-19 avendo comportato l’impossibilità di accedere agli impianti sportivi e il conseguente utilizzo dei servizi (già pagati), ha avuto come conseguenza principale il proliferare delle richieste di restituzione delle somme corrisposte ai gestori, complici anche le associazioni dei consumatori.
Simili richieste inducono a chiedere quando e se le medesime siano legittime. A tal fine, è necessario distinguere tre tipologie di praticanti: gli associati; i tesserati e i semplici utenti (né soci né tesserati). Gli associati, che possono o meno essere tesserati (sulla differenza fra la figura del socio e quella del tesserato, si veda per tutti Differenza tra socio e tesserato in una a.s.d, in Newsletter n. 22/2019) sono solo coloro i quali hanno rispettato pedissequamente l’iter predisposto dallo statuto per essere considerati tali e sono legati da un vincolo che giuridicamente si configura quale contratto associativo, ovvero contratto plurilaterale con comunione di scopo, in cui la prestazione di ciascuno è volta al soddisfacimento dell’interesse comune, a differenza del contratto di scambio, caratterizzato dal “do ut des”.
Relativamente alla restituzione delle somme corrisposte dagli associati, la norma di riferimento è l’art. 24 c.c. riferita espressamente alle associazioni sportive con personalità giuridica (in combinato disposto con l’art. 37 c.c. per le associazioni prive di tale riconoscimento).
La disposizione codicistica appena citata esclude la ripetibilità (cioè la restituzione) dei contributi versati dal socio che ha cessato di appartenere all’ente perché receduto o escluso. È oltremodo evidente che tale articolo, seppur riferito alle conseguenze della cessazione del rapporto associativo, trovi applicazione anche durante la vigenza dello stesso.
Il riferimento all’irripetibilità dei contributi versati dall’associato induce a interrogarsi sul significato del termine contributi. L’irripetibilità si riferisce sicuramente alla quota associativa, ovvero alla quota versata una volta all’anno dal socio per potere mantenere lo status di associato e godere dei relativi diritti. Altre somme che potrebbero rientrare nella nozione di contributi irripetibili sono le quelle erogate dagli associati per godere dei servizi associativi (comprendenti lo svolgimento di attività sportiva), in linea con le finalità statutarie e le caratteristiche associative, nonché con la natura di comunione di scopo del contratto associativo. Si pensi, ad esempio, alla somma versata per potere accedere all’impianto sportivo “senza limiti temporali”.
A diverse conclusioni pare potersi pervenire riguardo gli utenti non legati da alcun rapporto associativo (semplici utenti o tesserati di a.s.d. o s.s.d. non soci). La ripetibilità delle somme versate da costoro per lo svolgimento di attività sportiva e la fruizione di servizi a latere deve, tuttavia essere verificata in base alle previsioni contenute nel regolamento della struttura. Anche laddove le disposizioni regolamentari escludano la ripetibilità per causa di forza maggiore sembra doversi limitare l’applicazione a singoli ingressi/lezioni, senza potersi estendere a periodi cosi lunghi di chiusura come quelle determinate dall’adeguamento alle misure di contenimento del COVID-19. Il riferimento normativo che giustifica la ripetibilità è l’art. 1463 c.c. La disposizione codicistica disciplina le conseguenze giuridiche dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, stabilendo il divieto – per la parte liberata dalla sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta – “di chiedere la controprestazione e l’obbligo di restituire quella ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”. La norma citata, applicabile in caso di impossibilità sopravvenuta definitiva della prestazione, presuppone che entrambe le parti, non avendo interesse alla prosecuzione del rapporto, preferiscano liberarsi dal vincolo che le lega. È evidente che lo scioglimento del vincolo contrattuale presuppone la restituzione della prestazione ricevuta da una parte, che, altrimenti sarebbe ingiustificata, sine titulo. Una simile statuizione può trovare applicazione anche con riferimento all’impossibilità – definitiva – di praticare attività sportiva durante la chiusura “obbligata” degli impianti sportivi.
La circostanza per cui la restituzione dei contributi corrisposti dagli utenti possa determinare problemi di sostenibilità finanziaria per il gestore può indurre a valutare differenti forme di tutela per l’utente. Il fatto che gli impianti abbiano riaperto e ripreso le attività, seppure con forme e modalità differenti, può portare a considerare l’impossibilità di svolgere l’attività sportiva solo meramente temporanea.
Il riferimento normativo, in tal caso, è l’articolo 1256, 2 comma, c.c., secondo cui se l’impossibilità è solo temporanea, “l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”. E’ evidente che, in tale ipotesi, l’interesse del creditore (utente dell’impianto sportivo) alla prosecuzione del rapporto contrattuale va valutato caso per caso. Il cliente che ha sottoscritto un abbonamento annuale, ad esempio, molto probabilmente ha interesse a continuare ad allenarsi presso la stessa struttura. Valutato l’interesse alla prosecuzione del rapporto, possono essere ipotizzate forme di tutela alternative alla restituzione del corrispettivo versato, si pensi, tra l’altro, alla proroga della durata del contratto per un periodo pari a quello non fruito o al recupero degli ingressi non goduti, preoccupandosi di verificare la proroga contestuale della tutela assicurativa.
Il legislatore “dell’emergenza” ha preso posizione al riguardo. Il Decreto legge «rilancio» (art. 216), partendo dalla constatazione dell’impossibilità sopravvenuta … della prestazione dovuta in relazione ai contratti di abbonamento per l’accesso ai servizi offerti da palestre, piscine e impianti sportivi di ogni tipo, ha disposto che “i soggetti acquirenti, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, possono presentare istanza di rimborso del corrispettivo versato per i periodi di sospensione dell’attività sportiva al gestore, il quale entro trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, in alternativa al rimborso del corrispettivo, può rilasciare un voucher di pari valore incondizionatamente utilizzabile presso la stessa struttura entro un anno dalla cessazione delle predette misure di sospensione dell’attività sportiva”.
In virtù della disposizione normativa appena citata, il gestore, ricevuta la richiesta di rimborso del corrispettivo pagato dall’utente, può decidere di rilasciare un voucher di pari importo piuttosto che restituire la somma ricevuta. Una simile decisione è rimessa al gestore, tenuto a compiere una valutazione di sostenibilità finanziaria.
La formulazione attuale della norma, che, essendo contenuta in un decreto legge, può subire delle modifiche in sede di conversione, presenta alcuni dubbi che, appunto, potrebbero essere risolti in tale momento. Ad esempio, il riferimento al gestore dell’impianto non chiarisce se tale formulazione comprenda anche le associazioni sportive dilettantistiche o meno.
Se una simile figura potrebbe essere esclusa, in base ai principi generali, con riguardo alle prestazioni rese ai soci, in linea con le finalità statutarie e associative e con le caratteristiche del contratto con comunione di scopo, pare essere compresa alla luce di un’interpretazione teleologica, ovvero tesa a garantire la ripresa delle attività.
Analoghi dubbi si pongono per le palestre scolastiche, in cui ovviamente il gestore non è un sodalizio sportivo. Altre perplessità riguardano l’utilizzo del voucher. Se, da un lato, è chiaro che il voucher possa essere speso presso la medesima struttura che l’ha rilasciato, non altrettanto può dirsi riguardo le modalità, ovvero se possa essere utilizzato per servizi diversi, come quota parte di un nuovo abbonamento, ovvero se possa essere ceduto.
È probabile che simili dubbi (o parte di essi) possano essere risolti dal legislatore in sede di conversione. Sarà nostra cura, come sempre, aggiornare i lettori sulle eventuali novità apportate in tale sede.
Con riguardo alla richiesta del lettore relativa alla possibilità di ottenere un finanziamento per restituire agli utenti i corrispettivi già versati da costoro, sembra opportuno precisare che il finanziamento possa essere chiesto anche per fare fronte a un simile esigenza. Il sodalizio potrebbe, però, anche valutare la possibilità di fare domanda per ricevere contributi a fondo perduto (a tal riguardo, si veda P. Sideri, Due tipologie di aiuto a fondo perduto per a.s.d. e s.s.d.: una con click day).