Argomenti trattati:
1. La normativa costitutiva delle società sportive dilettantistiche
2. Le criticità statutarie: il coordinamento tra la normativa societaria del codice civile e la normativa delle società sportive dilettantistiche
3. Le criticità fiscali: distinzione tra attività istituzionali e attività commerciali e i benefici fiscali
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§ 1 –
Con la legge 27.12.2002, n.289 (legge finanziaria del 2003) il mondo sportivo dilettantistico si è aperto alle realtà delle società di capitali.
In virtù del disposto dell’art. 90 commi 17 e 18 gli enti che perseguono attività sportiva dilettantistica possono costituirsi nella forma di società di capitali seppur senza scopo di lucro.
Un “Unicum” nell’ordinamento giuridico italiano che ha posto e sta tuttora ponendo una serie di difficoltà interpretative nell’applicazione pratica di tale formula organizzativa, limitandone di fatto la diffusione proprio nell’ambito dei sodalizi sportivi cui, invece, intendeva riferirsi con spirito innovativo ed incentivante la normativa predetta.
Le difficoltà interpretative non risultano essere risolte neppure con due interventi legislativi successivi ed in particolare con
Pur tuttavia il fine perseguito dal legislatore del 2002 è chiaro: si è inteso con la richiamata normativa incentivare l’esercizio dell’attività sportiva dilettantistica mediante l’utilizzo di una forma giuridica ben radicata nel substrato economico italiano, puntualmente disciplinata dalle disposizioni civilistiche e meglio confacente a strutture organizzative più complesse e articolate con cui possono perseguirsi finalità sociali in ambito sportivo.
Già peraltro alcune Federazioni Sportive Nazionali, prima ancora dell’entrata in vigore della legge finanziaria del 2003, richiedevano ai sodalizi che esercitavano la pratica sportiva ai massimi livelli dei campionati nazionali di assumere una struttura giuridica articolata come quella della società a responsabilità limitata.
La legge 289/2002 quindi non ha fatto altro che prendere atto di questa necessità avvertita nel mondo sportivo apportando però l’ulteriore rilevante novità dell’estensione dei benefici fiscali previsti dalla vigente normativa per le associazioni sportive anche alle neoistituite società di capitali sportive dilettantistiche.
Tale novità è risultata tuttavia l’elemento principale delle difficoltà interpretative dianzi anticipate, per la scarsa attenzione riposta dal legislatore nell’affrontare la materia introdotta in tutti i suoi aspetti, mancando sia di rilevare i corretti elementi di coordinamento con istituti e strumenti già esistenti nell’attuale normativa civilistica e fiscale e sia di prevedere specifiche nuove disposizioni ad hoc, civilistiche e fiscali, per regolamentare integralmente questa nuova figura giuridica.
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§ 2 – LE CRITICITÀ STATUTARIE:
IL COORDINAMENTO TRA
Il citato art. 90 della Legge 289/2002 stabilisce che gli statuti delle associazioni e società sportive dilettantistiche devono necessariamente contenere alcuni elementi essenziali ivi riportati.
Successivamente la Legge 128/2004 ha ulteriormente chiarito tale aspetto fissando puntualmente il contenuto minimo obbligatorio degli statuti.
La regolarità statutaria derivante dalla sussistenza di tutti gli elementi essenziali rappresenta una delle tre condizioni per le società/associazioni sportive per poter godere dei benefici fiscali previsti dalla normativa tributaria per le associazioni sportive.
Le altre due condizioni sono:
1. l’affiliazione del sodalizio ad una Federazione Sportiva Nazionale o ad un Ente di Promozione Sportiva riconosciuta dal CONI;
2. l’iscrizione al Registro Nazionale delle società/associazioni detenuto dal CONI.
Dal che è divenuto necessario in sede di costituzione di una società sportiva dilettantistica o di modifica dello statuto procedere all’inclusione nel testo statutario delle clausole imposte dalla predetta normativa, creando non pochi problemi di coordinamento con la normativa civilistica vigente in materia societaria.
Più specificamente, il contenuto minimo obbligatorio richiesto dall’art.90 della Legge 289/2002 e poi dalla Legge 128/2004 è il seguente:
a) la denominazione (con riferimento all’attività sportiva dilettantistica);
b) l’oggetto sociale con riferimento all’organizzazione di attività sportive dilettantistiche, compresa l’attività didattica;
c) l’attribuzione della rappresentanza legale;
d) l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette;
e) le norme sull’ordinamento interno ispirato a principi di democraticità e di uguaglianza dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell’elettività delle cariche sociali, fatte salve le società sportive dilettantistiche che assumono la forma di società di capitali o cooperative per le quali si applicano le disposizioni del codice civile;
f) l’obbligo di redazione di rendiconti economico-finanziari, nonché le modalità di approvazione degli stessi da parte degli organi statutari;
g) le modalità di scioglimento;
h) l’obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento delle società.
A ciò si aggiunga che secondo quanto disposto dalla citata Circolare Ministeriale n. 21/E/2003 oltre al contenuto minimo previsto dall’art. 90 della Legge 289/2002 occorre altresì includere negli statuti delle società sportive dilettantistiche anche quanto riportato al comma 4-quinquies dell’art. 111 del previgente T.U.I.R. (DPR 917/86) oggi comma 8 dell’art. 148 dell’attuale T.U.I.R. per le associazioni sportive dilettantistiche ed in particolare:
a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;
b) obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di cui all’articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge;
c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione;
d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;
e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’articolo 2532, comma 2, del codice civile, sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1° gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell’articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e sempreché le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a livello locale;
f) intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.
Seppur tali norme rivestano rilevanza fiscale, il loro impatto sul testo statutario delle neoistituite società sportive di capitali è notevole specie per ciò che concerne la conseguente necessità di un coordinamento civilistico tra queste norme e quelle riportate nel libro V del codice civile riguardanti il diritto societario.
Le problematiche più rilevanti derivanti da tale coordinamento attengono:
a) alla disciplina della distribuzione di utili e più specificamente a questa indirettamente connessa riguardante le operazioni di aumento e riduzione del capitale sociale, nonché agli eventuali casi di recesso o esclusione del socio;
b) alla disciplina della cessione delle quote;
c) alla disciplina del diritto di voto per gli associati o partecipanti per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi.
In merito alla lett. a) appare evidente che la previsione del divieto di distribuzione degli utili neppure in forma indiretta sia stata riportata espressamente nella Legge 289/2002 proprio con particolare riferimento alle società di capitali, e ciò in quanto la vita della società di capitali presenta momenti in cui, indipendentemente da distribuzione di utili o da liquidazione, i soci possono entrare in possesso di risorse della società.
A parte l’ovvia considerazione che la distribuzione di riserve equivale a distribuzione di utili, il riferimento è alle operazioni di aumento gratuito, riduzione reale del capitale sociale e agli eventuali casi di recesso o esclusione del socio.
In buona sostanza si deve ritenere che nessuna delle quattro operazioni sopra menzionate sia da escludersi a priori, tuttavia l’adozione o l’attuazione delle stesse non potrà avvenire distribuendo ai soci i risultati economici della gestione e di ciò si dovrà tenere conto nel valutarne la legittimità.
Il discorso legato agli aumenti e riduzioni di capitale è strettamente legato alla legittimità delle clausole che integrano il punto “h” sopra menzionato (“devoluzione del patrimonio in caso di scioglimento della società”) disponendo la restituzione ai soci esclusivamente dell’importo del proprio conferimento al valore nominale e non sulla base del valore patrimoniale della società.
La presenza di una tale clausola, ove ritenuta legittima, può determinare l’illegittimità delle operazioni sul capitale se esse si rivelano, ad operazioni concluse, un modo per distribuire surrettiziamente gli utili, cosa che risulta alquanto evidente nelle operazioni di aumento gratuito di capitale sociale.
Nell’ambito del recesso dovrà aversi particolare attenzione a tutti quei casi in cui non siano direttamente i soci “superstiti” per il tramite della società a liquidare la quota del socio receduto in quanto si opererebbe comunque con risorse della società.
Analoghe considerazioni dovranno effettuarsi in ordine all’esclusione e alla limitazioni dei trasferimenti mortis causa ove le norme statutarie facciano riferimento a particolari modalità di liquidazione della quota del socio deceduto mediante risorse della società.
Per quanto attiene invece alla problematica di cui alla precedente lett. b) (disciplina della cessione delle quote) permane tuttora grande incertezza sull’apposizione negli statuti delle società sportive di capitali della clausola dell’intrasmissibilità della quota salvo mortis causa.
Inserire l’intrasmissibilità della quota nello statuto comporta infatti necessariamente il riconoscimento del diritto di recesso in capo al socio che voglia uscire dalla società. Tuttavia l’intrasmissibilità qui ha esigenze fiscali.
L’articolo 2473 penultimo comma prevede diversi modi di liquidazione della quota del socio recedente tra cui l’utilizzo delle riserve disponibili. Tuttavia questa modalità deve essere a priori scartata in quanto concluderebbe una indiretta distribuzione di utili. L’acquisto proporzionale da parte degli altri soci o da un terzo da questi individuato non sarebbe possibile alla luce della clausola di “intrasmissibilità”, che qui ha ragioni fiscali e non di tutela degli altri soci, specie in relazione alla individuazione del terzo eventuale acquirente.
In merito alla riduzione del capitale valgano le perplessità sopra evidenziate, che ancora una volta dipendono dall’inserimento in statuto di una disposizione quale quella della restituibilità del conferimento.
Lo scioglimento della società e la sua liquidazione a fronte di un recesso, ultima opzione rimasta, oltre a sembrare eccessiva non soddisfa il fine per cui è concesso al socio il diritto di recedere in quanto il risultato della liquidazione dovrà essere devoluto a fini sportivi e non al socio.
In merito alla problematica di cui alla lett. c) si rinvia al successivo paragrafo investendo ancora più direttamente l’ambito tributario.
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§ 3 – LE CRITICITÀ FISCALI:
DISTINZIONE TRA ATTIVITÀ ISTITUZIONALI E ATTIVITÀ COMMERCIALI E I BENEFICI FISCALI
La ratio dell’estensione dei benefici fiscali delle associazioni sportive dilettantistiche alle società sportive di capitali si ravvisa nel sostegno che lo Stato vuol concedere a tutte le organizzazioni operanti nel settore indipendentemente dalla forma giuridica rivestita.
Anche in questo caso tuttavia un miglior coordinamento delle norme tributarie riguardanti le associazioni sportive e quelle inerenti il reddito d’impresa sarebbe stato auspicabile.
Il grande dilemma attiene all’imponibilità fiscale delle principali voci di entrate delle società/associazioni sportive rappresentate dalle entrate provenienti dai soci per le prestazioni rese dalla stessa società/associazione in attuazione del proprio scopo sociale.
Ai sensi dell’attuale disposizione dell’art. 148, comma 3 del T.U.I.R., tali entrate nell’ambio delle associazioni sportive dilettantistiche che rispettino le tre condizioni indicate nel paragrafo precedente, sono da considerarsi di natura “istituzionale” e pertanto escluse da imposizione fiscale diretta (IRES, IRAP) e indiretta (IVA).
E’ sorto legittimamente il dubbio se si possa prevedere la “decommercializzazione” delle entrate di tal genere rilevate da una società sportiva di capitali, posto che per le società di capitali vale il principio di attrazione a “reddito commerciale d’impresa” di tutti i propri ricavi.
E ciò maggiormente se si pensi che per poter comunque aver diritto ai benefici fiscali occorre inserire nel proprio statuto tutte le clausole indicate nel paragrafo precedente, ivi compresa l’attribuzione del diritto di voto a tutti i soci e partecipanti, che, per ovvie motivazioni di ordine civilistico relative alle norme in tema di diritto societario, non può che concedersi esclusivamente ai “soci” veri e propri e non mai a tutti i partecipanti.
Seppur in assenza di giurisprudenza in merito e nella non totale uniformità di interpretazioni dottrinarie sull’argomento, appare plausibile sostenere la tesi più a favore al contribuente che non la tesi opposta a favore del fisco consistente nel negare la “decommercializzazione” per tali entrate alle società sportive di capitali.
I presupposti di tale conclusione sono i seguenti:
1. per espressa disposizione della Legge 128/2004 è stabilito che le norme sull’ordinamento interno deve essere ispirato a principi di “democraticità” e di “uguaglianza” dei diritti di tutti gli associati, con la previsione dell’elettività delle cariche sociali, “fatte salve però le società sportive dilettantistiche che assumono la forma di società di capitali o cooperative per le quali si applicano le disposizioni del codice civile”.
Ciò attesta che il “principio di democraticità”, di cui una forma di manifestazione è rappresentata dalla “disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi”, non si applica all’interno delle società sportive di capitali e con ciò non venendo meno agli imperativi di legge che possano assicurare alle stesse società l’attribuzione dei benefici fiscali propri delle associazioni sportive;
2.
Con tale indicazione l’Amministrazione finanziaria ha di fatto attestato la “decommercializzazione” e la conseguente “defiscalizzazione” sia ai fini IRES, IRAP che IVA delle entrate provenienti da partecipanti ovvero da tesserati alle Federazioni Sportive o Enti Nazionali di Promozione Sportiva riconosciuti dal
Permane comunque, anche nel caso delle società sportive di capitali, la necessità di rispettare tutte le condizioni di cui al paragrafo precedente per aver accesso ai benefici tributari previsti per le associazioni sportive dilettantistiche.
Considerato che due su tre condizioni – l’affiliazione del sodalizio ad una Federazione Sportiva Nazionale o ad un Ente di Promozione Sportiva riconosciuta dal
Dott. Donato Foresta