L’articolo 132, lett. m) della direttiva 2006/112CE stabilisce l’esenzione IVA per l’attività sportiva resa da organismi senza fini di lucro.
Sono esenti “talune prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica, fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica”.
Allo stesso tempo l’articolo 134, primo comma, della direttiva 2006/112 prevede che
Le cessioni di beni e le prestazioni di servizi sono escluse dal beneficio dell’esenzione prevista all’articolo 132, paragrafo 1, [lettera m)], nei casi seguenti:
a) se esse non sono indispensabili all’espletamento delle operazioni esentate;
b) se esse sono essenzialmente destinate a procurare all’ente o all’organismo entrate supplementari mediante la realizzazione di operazioni effettuate in concorrenza diretta con quelle di imprese commerciali soggette all’IVA.
La Corte di giustizia Europea è intervenuta in molte occasioni sulla disciplina dell’esenzione IVA dei servizi sportivi erogati da organismi senza fini di lucro e nell’articolo di Biancamaria Stivanello, L’interpretazione della direttiva UE in materia di esenzione IVA nella giurisprudenza comunitaria, pubblicato sempre in questo numero monografico, viene condotta una disamina puntuale delle più importanti sentenze che hanno affrontato il tema.
Qual è il giudizio di fondo che possiamo ricavare dalla lettura di queste sentenze?
La Corte Europea ha più volte ribadito alcuni principi che qui vengono sintetizzati:
- L’esenzione deve essere interpretata alla luce della finalità e della struttura della sesta direttiva IVA, tenendo conto particolarmente della ratio legis dell’esenzione di cui trattasi (v., in tal senso, sentenze Temco Europe, cit., punto 18; del 3 marzo 2005, Fonden Marselisborg Lystbådehavn, C-428/02, Racc. pag. I-1527, punto 28, nonché Canterbury Hockey Club e Canterbury Ladies Hockey Club, cit., punto 17).
- L’esenzione IVA è diretta, secondo la sua stessa formulazione, alla pratica dello sport e dell’educazione fisica in generale. Alla luce di questa formulazione, tale disposizione non intende far beneficiare dell’esenzione da essa prevista solo taluni tipi di sport
- L’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), della direttiva IVA non esige, per la sua applicabilità, che l’attività sportiva sia praticata a un determinato livello, per esempio, a livello professionale, e neppure che l’attività sportiva sia praticata secondo determinate modalità, ad esempio, in modo sistematico o organizzato o finalizzato a partecipare a competizioni sportive, purché tuttavia l’esercizio di tale attività non rientri in un contesto puramente distensivo e ricreativo.
- L’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), della direttiva IVA intende favorire talune attività di interesse generale, vale a dire servizi direttamente collegati con la pratica sportiva o con l’educazione fisica, prestati da enti senza fini di lucro a soggetti praticanti lo sport o l’educazione fisica. In tal senso, detta disposizione mira a promuovere tale pratica in ampi strati della popolazione.
- Un’interpretazione della disposizione medesima che limitasse l’ambito di applicazione dell’esenzione ivi prevista alle sole attività sportive praticate in modo organizzato, sistematico o finalizzato alla partecipazione a competizioni sportive sarebbe contraria a detto obiettivo.
- L’articolo 132, paragrafo 1, lettera m), della direttiva IVA deve essere interpretato nel senso che attività sportive non organizzate, non sistematiche e non finalizzate alla partecipazione a competizioni sportive possono essere considerate pratica sportiva.
Dunque i giudici europei chiariscono natura e portata della esenzione prevista, a livello europeo, per le prestazioni fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica (articolo 132, lett. m della direttiva 2006/112CE) ed evidenziano come la direttiva IVA obblighi gli Stati membri a concedere un’esenzione per le prestazioni di servizi strettamente connesse con la pratica dello sport o dell’educazione fisica, fornite da organismi senza fini di lucro alle persone che esercitano lo sport o l’educazione fisica.
Secondo gli orientamenti esaminati risulta evidente il contrasto della normativa italiana con i principi europei nella misura in cui la normativa italiana non prevede l’esenzione da IVA dei servizi prestati da organizzazione non lucrative.
Il contrasto vero dunque tra la normativa italiana e quella europea non è, come rileva l’Agenzia, nella presunta lesione del principio di concorrenza tra organismi lucrativi e non lucrativi – lesione, questa, che andrebbe dimostrata caso per caso e non come principio generale – ma risiede nel mancato recepimento da parte dell’ordinamento italiano della normativa europea in tema di esenzione dei servizi sportivi erogati da organismi senza scopo di lucro.
Il tema che qui conviene approfondire è che in Italia non solo è previsto un generico regime di non imponibilità ai sensi dell’art 4 d.p.r. 633/72 per i corrispettivi realizzati nei confronti di soci o tesserati delle a.s.d. e delle s.s.d. ma che la definizione di attività sportiva è stata oggetto negli ultimi anni di importanti restrizioni che hanno delimitato fortemente la possibilità per gli enti sportivi di fruire dei benefici fiscali e concorrere a diffondere l’attività motoria.
In Italia infatti, al contrario della nozione che sta alla base della direttiva europea, l’attività sportiva agevolata è solo quella strettamente riconosciuta dal Coni e la tendenza perseguita attraverso il Registro 2.0 è quella di limitare ulteriormente il riconoscimento dell’attività sportiva solo ai sodalizi che svolgano attività didattiche organizzate e/o attività sportive finalizzate alla partecipazione a competizioni sportive, principio questo che la Corte di Giustizia Europea ha ripetutamente censurato.
A supporto di questa considerazione c’è la procedura di infrazione UE n. 2008/2010 nei confronti dell’Italia per il non corretto recepimento della Direttiva 2006/112/CE (Direttiva IVA).
Con tale procedura la Commissione contesta le modalità di recepimento della soggettività passiva nell’art. 4 del d.p.r. IVA e in particolare l’aver messo fuori campo operazioni che tutt’al più avrebbero dovuto essere esentate o anche, in alcuni casi, l’eccessivo allargamento della fattispecie posta fuori campo rispetto alla fattispecie che avrebbe dovuto essere esentata.
Con atto di messa in mora complementare è stato altresì contestato il mancato recepimento delle esenzioni di cui all’articolo 132 della Direttiva IVA e delle condizioni di cui all’articolo 134.
Gli effetti distorsivi sulla concorrenza
La giurisprudenza europea ha affrontato inoltre numerosi casi in cui l’interferenza fiscale dei singoli stati può provocare effetti distorsivi sulla concorrenza.
Nella sentenza 17 luglio 2008 avente ad oggetto la causa C-132/06, scaturita da un ricorso per inadempimento sollevato dalla Commissione nei confronti della Repubblica italiana nell’ambito del sistema comune dell’IVA, la Corte ha segnalato che gli Stati membri sono tenuti a garantire il rispetto degli obblighi a carico dei soggetti passivi e beneficiano, a tale riguardo, di una certa libertà in relazione al modo di utilizzare i mezzi a loro disposizione: questa libertà, tuttavia, è limitata dall’obbligo di garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie della Comunità e da quello di non creare differenze significative nel modo di trattare i contribuenti, e questo sia all’interno di uno degli Stati membri che nell’insieme di tutti loro.
La Corte ha dichiarato che la sesta direttiva deve essere interpretata in conformità al principio di neutralità fiscale inerente al sistema comune dell’Iva, in base al quale gli operatori economici che effettuano le stesse operazioni non devono essere trattati diversamente in materia di riscossione dell’Iva. Ogni azione degli Stati membri riguardante la riscossione dell’Iva deve rispettare questo principio.
Si tratta dell’enunciazione del principio di neutralità, a cui la Corte di giustizia ha informato le proprie decisioni in materia.
Tale principio è però mitigato da altri principi pur presenti nell’ordinamento europeo. Innanzitutto si ritiene che non si verifica un effetto distorsivo della concorrenza e, dunque, non si ricorre a un “aiuto di Stato”, nelle ipotesi che si concretano in interventi con un valore monetario, appunto, “minimo”, fissato dalla Commissione con la regola del de minimis.
Nel Libro Bianco dello Sport approvato dalla Commissione Europea si legge:
Lo sport è una sfera dell’attività umana che interessa in modo particolare i cittadini dell’Unione europea e ha un potenziale enorme di riunire e raggiungere tutti, indipendentemente dall’età o dall’origine sociale. Secondo un sondaggio Eurobarometro del novembre 2004 3, il 60 % circa dei cittadini europei partecipa in modo regolare ad attività sportive, in modo autonomo o inquadrato in una delle 700 000 società sportive esistenti, le quali a propria volta fanno capo a tutta una serie di associazioni e federazioni. La maggior parte delle attività sportive si svolge in strutture amatoriali.
Lo sport professionistico ha un’importanza crescente e contribuisce anch’esso al ruolo sociale dello sport. Oltre a migliorare la salute dei cittadini europei, lo sport ha una dimensione educativa e svolge un ruolo sociale, culturale e ricreativo, e il suo ruolo sociale può anche rafforzare le relazioni esterne dell’Unione.
Tale principio ha indotto ad esempio la Commissione Europea a non considerare in Ungheria aiuto di Stato l’agevolazione d’imposta a favore delle donazioni per gli enti sportivi sulla base della considerazione che la “distorsione” va “bilanciata” con i benefici a favore dell’ “interesse comune” e che si manifestano, per il caso in esame, con la diffusione delle infrastrutture rivolte all’attività sportiva che incidono su aspetti di “natura sociale” (art. 165 TFUE).
C’è inoltre da segnalare che in nessuna delle pronunce della Corte Europea in materia di esenzione IVA per i servizi sportivi sia stata eccepita la natura distorsiva della concorrenza di tale misura fiscale.
Peraltro si potrebbe sollevare un dubbio non trascurabile: se il principio richiamato dall’Amministrazione fiscale italiana fosse vero, per quale motivo ne sarebbero escluse le associazioni sportive dilettantistiche che beneficiano della stessa norma di esclusione IVA per i corrispettivi legati all’erogazione dei servizi sportivi nei confronti dei soci e dei tesserati?
Il rischio è che tale orientamento finisca per travolgere anche le agevolazioni perviste per il mondo associativo.
La normativa IVA in alcuni Paesi Europei: Francia, Spagna e Regno Unito
La normativa ai fini IVA dei servizi sportivi erogati dagli organismi non lucrativi contenuta in molti Paesi europei ricalca le disposizioni contenute nella direttiva UE e prevede per essi l’esenzione.
In Francia il testo IVA denominato “Code général des impôts”: Titre II : Taxes sur le chiffre d’affaires et taxes assimilées Chapitre premier : Taxe sur la valeur ajoutée” all’articolo 261, comma 7, prevede l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto per i servizi di carattere sociale, educativo, culturale e sportivo resi ai propri membri da organismi senza scopo di lucro legalmente riconosciuti (art. 261, comma 7: Sont exonérés de la taxe sur la valeur ajoutée a. les services de caractère social, éducatif, culturel ou sportif rendus à leurs membres par les organismes légalement constitués agissant sans but lucratif, et dont la gestion est désintéressée).
In Inghilterra la disposizione che disciplina l’imposta sul valore aggiunto, denominata Value Added Tax Act, all’articolo 31 esenta le attività fisiche e sportive.
In Spagna la legge 37 del 28 dicembre 1992 “Impuesto sobre el Valor Añadido” all’articolo 20 prevede che sono esentati i servizi prestati a persone fisiche che praticano l’attività sportiva o l’educazione fisica sempre che tali servizi siano direttamente prestati per entità di diritto pubblico, comitato olimpico e paralimpico spagnolo, entità e società sportive private a carattere sociale; l’esenzione non si estende agli spettacoli sportivi (Los servicios prestados a personas físicas que practiquen el deporte o la educación física, cualquiera que sea la persona o entidad a cuyo cargo se realice la prestación, siempre que tales servicios estén directamente relacionados con dichas prácticas y sean prestados por las siguientes personas o entidades:
a) Entidades de derecho público.
b) Federaciones deportivas.
c) Comité Olímpico Español.
d) Comité Paralímpico Español.
e) Entidades o establecimientos deportivos privados de carácter social.
La exención no se extiende a los espectáculos deportivos).
Conclusioni
Ciò che emerge, dunque, è non solo l’assenza di un organico “sistema normativo” che disciplini unitariamente la normativa in ambito sportivo dilettantistico ma anche una assenza totale della lettura del fenomeno sportivo in Italia, il quale si è strutturato storicamente intorno all’associazionismo sportivo in ambito Coni con una limitata o in alcuni casi nulla presenza di investimenti statali non solo nell’impiantistica sportiva pubblica ma anche nella promozione e nella diffusione della pratica sportiva.
Dai dati a disposizione si stima che siano più di 11 milioni (11.198.000) le persone che nel nostro Paese praticano sport all’interno di società sportive del sistema CONI, attraverso le affiliazioni a Federazioni Sportive Nazionali (FSN), Discipline Sportive Associate (DSA) ed Enti di Promozione Sportiva (EPS).
Nel 2015 si contavano 4.535.322 atleti tesserati dalle FSN e dalle DSA e 6.663.165 praticanti tesserati agli EPS.
Ogni 100.000 abitanti gli atleti tesserati alle FSN e DSA sono circa 7.462, mentre i praticanti iscritti agli EPS sono oltre 10.962.
Tra gli atleti tesserati delle FSN-DSA circa il 55% ha meno di 18 anni.
Si contano oltre un milione di operatori sportivi (dirigenti, tecnici, ufficiali di gara e altre figure che collaborano a vario titolo all’interno delle organizzazioni societarie e federali) delle FSN-DSA e 471 mila tra dirigenti e tecnici delle a.s.d. / s.s.d. degli EPS.
L’associazionismo sportivo in Italia è distribuito capillarmente su tutto il territorio nazionale. Le 118.812 società sportive – soggetti giuridici distinti iscritti al Registro del CONI – sono il cuore del sistema, soprattutto per la pratica sportiva giovanile.
I rapporti di affiliazione che caratterizzano lo sport dilettantistico nel 2016 sono 145.095, di cui 54 mila sono gli affiliati delle FSN/DSA e oltre 90 mila quelli degli EPS.
Da questi dati è facile intuire che solo una piccola quota del mercato è oggi erogata sotto forma di società commerciali le quali peraltro, in un’ottica di profittabilità, sono orientate a ridurre il più possibile il personale sportivo all’interno delle proprie strutture abbassando notevolmente la qualità dei servizi sportivi.
Alla luce delle argomentazioni fin qui esposte si rende pertanto necessario quanto mai opportuno pervenire a un’omogenea normativa di riferimento, tenuto conto in particolare degli importanti effetti sociali ed economici prodotti dalla pratica sportiva e tenuto conto inoltre che un moderno quadro giuridico contribuisce all’implementazione di valori costituzionalmente garantiti.