In queste ore, infatti, legislatore e Ministero stanno freneticamente cercando un equilibrio fra la necessità di rispettare:
- la normativa comunitaria sulla tutela dei minori
- la privacy degli istruttori
- le risorse amministrative e finanziarie dei soggetti che forniscono servizi a minori
- le possibilità operative delle Cancellerie dei Tribunali
il tutto nello strettissimo termine di due giorni lavorativi, per milioni di soggetti coinvolti.
Nello spirito del punto “1” c’è una normativa interna ancora più stringente di quella comunitaria, dove la facoltà del datore di lavoro di chiedere la certificazione dei dipendenti è divenuta un obbligo.
Da quanto al punto “2” nascono le circolari che richiedono, per il rilascio della certificazione, l’autorizzazione del lavoratore, ovvero prospettano il rilascio di un certificato specifico, relativo solo ed esclusivamente agli specifici reati commessi nei confronti di minori.
Del punto “3” tengono conto i documenti nei quali pare circoscriversi l’obbligo ai soli rapporti di lavoro dipendente, con esclusione quindi delle tipologie diverse (prima fra tutte, il rapporto di “lavoro sportivo” ex art. 67 TUIR).
Dell’operatività delle Cancellerie di cui al punto “4” tengono conto le disposizioni che hanno già emanato una modulistica specifica.
E dalla frenesia del momento nascono poi inevitabilmente anche disposizioni confuse: la Circolare (Circolare 3 aprile 2014 – Attuazione direttiva contro l’abuso sessuale sui minori – Nuovo obbligo per i datori di lavoro) ha ben presente il punto “3” quando stabilisce la possibilità di autocertificazione da parte del lavoratore, e il punto “1” quando stabilisce che il datore di lavoro deve comunque richiedere il certificato; ma mostra scarsa conoscenza della norma, dato che con la richiesta del certificato il datore di lavoro ha già ottemperato agli obblighi a suo carico, e l’autocertificazione appare quindi superflua …
Il tutto cercando di rispettare un termine estremamente stretto, del quale non possiamo che augurarci una proroga.
In questa situazione ciascuna fonte dà indicazioni talvolta non sufficientemente chiare, talvonta in contraddizione con altre; la questione è importante e il mondo dello sport e del volontariato sono estremamente variegati: pretendere di inquadrare armonicamente il tutto in pochi giorni è semplicemente impossibile.
Tutto ciò premesso, poichè l’organo ufficiale di riferimento per le associazioni e società sportive è il CONI, e il CONI con grande tempestività ha dato indicazioni chiare e ufficiali, non possiamo che suggerire di adeguarsi a esse, anche se siamo costretti a sottolineare alcune criticità.
Il messaggio del CONI, visibile a questo link e del quale raccomandiamo una attenta lettura, in estrema sintesi afferma che:
– l’obbligo di richiedere la certificazione sussiste solo nel caso che si intendano instaurare rapporti di lavoro autonomo o subordinato e “nulla dovrà essere richiesto ai soggetti che svolgono attività di mero volontariato … né … ai cosiddetti collaboratori sportivi” ex art. 67 TUIR
– “nei casi in cui la certificazione sia obbligatoria, nelle more del rilascio del certificato regolarmente richiesto da parte del Casellario, si potrà procedere all’utilizzo dei lavoratori addetti ai minori previa acquisizione di atto di notorietà“.
Le direttive del CONI sono quindi, oltre che chiare e tempestive, estremamente rassicuranti, perchè escludono dall’obbligo la stragrande maggioranza dei soggetti operanti nell’ambito dello sport dilettantistico.
Non per fare “i guastafeste”, ma perchè riteniamo nostro dovere rimanere sempre attenti, sottolineiamo le seguenti criticità:
– la disposizione, le note ministeriali e il messaggio del CONI fanno riferimento ai soggetti che “intendano instaurare rapporti“; nulla dice espressamente per i rapporti già in corso e non è dettata una disciplina transitoria; per prudenza riteniamo opportuno includerli ma, ripetiamo, le fonti dicono qualcosa di diverso
– il termine “datore di lavoro” assume diversi significati a seconda del contesto nel quale viene utilizzato (giuslaburistico, previdenziale, della sicurezza); nella norma in questione pare assumerne uno ancora diverso, includendo coloro che instaurano rapporti di lavoro autonomo; essendo tale figura assoggettata a pesanti sanzioni, una delimitazione più chiara apparirebbe utile
– il fatto che siano rapporti di lavoro solo quelli con lavoratori dipendenti o autonomi, e quindi non lo siano quelli con “collaboratori sportivi ex art. 67” mal si coordina con la recentissima circolare del Ministero del Lavoro, che tutti abbiamo salutato con grande soddisfazione, nella quale si parla espressamente di “una graduale introduzione di forme di tutela previdenziale a favore dei soggetti che … svolgono attività sportiva dilettantistica … ex art. 67 … TUIR“: una tutela previdenziale per soggetti che non sono lavoratori?
– non facciamoci ingannare dal tono rassicurante della seconda nota ministeriale e della seconda parte del messaggio del CONI, perchè entrambe contengono un chiaro inciso: l’autocertificazione è ammessa solo ed esclusivamente se il certificato sia stato “puntualmente richiesto” (scrive la nota) ovvero “regolarmente richiesto” (scrive il CONI), quindi l’autocertificazione non sostituisce la richiesta, che deve essere comunque effettuata per non incorrere nelle sanzioni.
Per chiudere, ci permettiamo una considerazione che va al di là della mera interpretazione di norme e documenti di prassi: l’intento del legislatore comunitario è chiaro e lodevole, ci auguriamo che la normativa interna riesca a dettare disposizioni più chiare e attuabili di quelle delle quali abbiamo appena dato conto, perchè esso non venga di fatto disatteso.
La Direzione di Fiscosport