1. Introduzione
Secondo una pratica negoziale avente origine in Sudamerica accade che un soggetto giuridico – potenzialmente diverso dal club con il quale un giocatore ha un contratto di lavoro – detenga la titolarità di diritti cd. “diritti economici” sul valore di un futuro trasferimento di un calciatore da un club sportivo ad un altro. In altre parole, il “diritto economico” sostanzierebbe la legittima commercializzazione dell’aspettativa patrimoniale di vendita di un giocatore nel tempo. Tale categoria di diritti, a fronte di fondi apportati dai terzi ai club, è quindi passibile di essere trasferita. Se, da un lato, i club effettuano tali cessioni per darsi sostentamento e garantire ai calciatori adeguate preparazione e formazione calcistica, dall’altro la caratteristica principale dei fondi di investimento che acquisiscono tali diritti è la speculazione, ossia scommettere su un giocatore e avere “il buon occhio” di capire che questi si valorizzerà talmente tanto sul mercato trasferimenti da far ottenere un ritorno sull’investimento iniziale.
La TPO altro non è che questo: investire nella formazione dei giovani giocatori ed ottenere una percentuale del loro trasferimento futuro, auspicabilmente cifra superiore a quanto elargito al club di appartenenza.
Ad oggi, con la crisi economica che ha coinvolto anche i paesi maggiormente produttivi, anche i club europei hanno iniziato a valutare positivamente questo tipo di pratica negoziale. Le squadre, vista la contrazione di risorse, ricorrono quindi a tali tipologie di accordi per mantenere la perdita di competitività derivante dalla loro situazione economica. In merito, una recente ricerca ha infatti rilevato come i TPO stiano aumentando a dismisura anche nel calcio europeo[2].
Il calciatore, nel bene e nel male, diviene un prodotto all’interno di un’attività economica, e come tale ha un valore patrimoniale, determinato dal prezzo di trasferimento. In tale ottica, egli vale ciò che un club è disposto a pagare ad un altro club per avvalersene[3].
2. Diritti federativi e diritti economici
Nella prassi negoziale che ha dato vita agli accordi TPO si suole distinguere tra “diritti federativi” e “diritti economici”. Da un lato, il diritto federativo di un club ad ingaggiare un giocatore professionista e tesserarlo per la propria federazione nazionale è un diritto che ha una titolarità esclusivamente individuata nel club stesso. Infatti la fonte di tale diritto deriva da un contratto di lavoro tra tale club e il giocatore[4].
Sotto altro profilo, si sostiene che dal trasferimento ed acquisizione dei diritti federativi di un giocatore possano emergere diritti “derivati”. Di norma, quando un giocatore sotto contratto viene trasferito da un club ad un altro, tale passaggio si realizza mediante il pagamento di una somma di denaro tra i due club. È su questa somma che incidono i cd. diritti economici del giocatore. Essi sono infatti dei benefici patrimoniali che potenzialmente derivano dal trasferimento dei diritti federativi, ma ontologicamente diversi dai diritti federativi stessi. La loro natura è prettamente speculativa in quanto è evidente come la loro remunerazione sia legata alla valorizzazione di un bene, il giocatore, che per vari fattori potrebbe non realizzarsi mai e far concludere l’operazione con la perdita totale dell’investimento.
Come accennato in precedenza, essendo i club gli unici titolari del diritto di tesserare i giocatori attraverso un contratto di lavoro, è evidente che essi siano i proprietari “a titolo originario” sia dei diritti federativi che di quelli economici “derivati”. Tuttavia, mentre i diritti federativi appartengono (e possono appartenere esclusivamente) ai club sportivi all’interno dei quali milita un giocatore e sono trasmissibili esclusivamente tra società calcistiche secondo le norme sportive in materia di trasferimenti, i diritti economici possono invece appartenere ad un terzo soggetto, anche non sportivo, il quale li acquisisce originariamente da un club e li può poi liberamente trasferire a sua volta. Pertanto tutti gli accordi che i club raggiungono con terzi per quanto riguarda la titolarità o contitolarità di tali diritti “economici” sarà da considerarsi un affare commerciale tra club e soggetto terzo. A tal riguardo va ribadito come la titolarità di diritti economici non crei alcuna titolarità di diritti sulla persona-giocatore in quanto il contratto TPO va a trasferire una “proprietà” su una quota del futuro diritto di trasferimento del predetto giocatore e non sui diritti di prestazione sportiva del giocatore stesso. Peraltro, in tale tipologia di accordi il giocatore non è “tecnicamente” una parte, anche se il suo consenso è sovente condizione essenziale per il perfezionamento degli stessi.
Come sopra evidenziato l’impatto economico dell’operazione può rappresentare per i club una nuova fonte di reddito capace di fargli mantenere competitività. Il vantaggio per i club di calcio, quindi coloro che cedono i diritti economici alle società terze, sta ad esempio nel minore investimento necessario per le prestazioni sportive del giocatore. Ciò si traduce generalmente per i club in (i) un esborso finanziario più contenuto e (ii) un minore costo per ammortamento a conto economico, generando quindi un doppio beneficio perché consente un maggiore utile di esercizio e una maggiore disponibilità di risorse da spendere.
Oltre i predetti benefici, ci sono però da considerare gli effetti collaterali che l’entrata di terzi soggetti “finanziari” possono arrecare al mondo del calcio. Avendo il proprio “ritorno dell’investimento” solamente nel caso di trasferimento dei calciatori, è chiaro che vi sia il rischio di una pressione inflattiva sul mercato trasferimenti. Va poi anche considerata la questione dell’effettiva terzietà di tali soggetti rispetto al mondo del calcio. Si pensi ad esempio al caso in cui dietro un fondo di investimento vi siano in realtà degli agenti di calciatori, soggetti già di per sé interessati ad una particolarità “volatilità” del mercato calciatori in ragione delle loro commissioni di trasferimento. È evidente che ciò rischierebbe di portare molte più ombre che luci sui TPO nel mondo del pallone. Da qui nascono le particolari perplessità di FIFA e UEFA.
3. Posizioni di FIFA e UEFA
In linea di principio, sia FIFA che UEFA esprimono forti perplessità circa i TPO perché l’ingresso della “finanza” nel calcio è visto come una minaccia. Tuttavia, va analizzato come in realtà sia FIFA che UEFA non abbiano ancora adottato una posizione netta.
Da un lato, la FIFA non vieta gli accordi TPO ma condanna il fatto che un soggetto terzo rispetto a club e giocatori possa influenzare la politica, l’indipendenza e il processo decisionale dei club stessi. A tal proposito il massimo organo mondiale ha inserito l’art. 18bis (Influenza di terzi sulle società) nel Regolamento sullo Status e sul Trasferimento dei calciatori, riconoscendo gli accordi TPO ma subordinandone la liceità al fatto che le società titolari dei diritti economici non esercitino “ingerenze” sulla libertà di trasferimento dei giocatori (i.e. “Nessuna società potrà stipulare un contratto che permetta a qualsiasi altra parte del contratto, o a terzi, di poter interferire sui rapporti di lavoro e di trasferimento, le sue scelte politiche, o l’attività della sua squadra”[5]). Da tale norma si deduce chiaramente che, laddove non vi siano illegittime influenze o divieti espliciti previsti in altre norme, tali accordi siano del tutto validi nell’alveo dell’ordinamento sportivo. In breve ciò che la FIFA vieta non è la third party ownership, ma la cd. “third party influence”.
Inoltre, per evitare che vi siano commistioni illegittime tra “agenti di calciatori” e “titolari di diritti economici”, la FIFA ha anche inserito l’art. 29 (Restrizioni di pagamento e di cessione di diritti e pretese) nel proprio Regolamento Agenti FIFA, vietando espressamente “il versamento, integrale o parziale, da parte della società debitrice all'Agente di Calciatori, di qualunque compenso, ivi comprese indennità di trasferimento, retribuzione per formazione o contributo di solidarietà, dovuto da una società a un'altra in relazione al trasferimento di un calciatore tra dette società, anche nel caso ciò riguardi la liquidazione di retribuzioni dovute all'Agente di Calciatori, in veste di creditore, ad opera della società dalla quale questi era stato assunto. Tale divieto comprende, a titolo puramente esemplificativo, il possesso di qualsiasi interesse in qualsivoglia indennità di trasferimento o futuro valore di trasferimento di un calciatore”. Tale previsione indica chiaramente come gli agenti dei calciatori non possano essere parte di contratti relativi ai diritti economici dei calciatori stessi, i quali però debbono ritenersi intrinsecamente legittimi.
Le predette norme palesano quindi come i club possano cedere i diritti economici a terzi ma non farsi influenzare nel loro operato sul mercato trasferimenti. Pertanto, è vietata qualsiasi clausola con cui i terzi possano, ad esempio, subordinare al proprio esplicito consenso un trasferimento o altre questioni che attengano prettamente al rapporto di lavoro sportivo.
Probabilmente il motivo per cui la FIFA oggi non stabilisce più restrizioni risiede nella sempre più crescente prassi commerciale in alcuni paesi. È infatti innegabile che numerosi club in Sudamerica, Spagna e Portogallo facciano ampio ricorso a tali accordi per il proprio sostentamento, dacché è oggi più facile per le singole federazioni nazionali vietare o limitare il fenomeno TPO piuttosto che per la FIFA.
Per sua parte la UEFA ha da tempo una posizione critica circa la commercializzazione dei diritti economici, sebbene anch’essa non ne contesti ufficialmente la liceità se ne sia data la massima trasparenza[6].
4. Pronunce del TAS
Come spesso accade quando ci si trova innanzi a negozi atipici è la giurisprudenza a dover affrontare per prima alcune questioni. A tal proposito il Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna (TAS), già nei risalenti casi CAS 2004/A/662 RCD Mallorca V/ Club Atletico Lanus[7], CAS 2004/A/781 Tacuary FBC v Club Atlético Cerro & Jorge Cyterszpiler & FIFA, ha affermato che ai sensi delle norme FIFA un giocatore può tesserarsi per giocare in un solo club, non due o più contemporaneamente. Come tale, il trasferimento parziale dei diritti federativi contravviene l’essenza delle norme FIFA ed è quindi impossibile. Sotto altro profilo però, nulla impedisce a due club di decidere di fare affari per quanto riguarda i diritti economici di un giocatore, a condizione che il giocatore presti il suo consenso e mantenga un rapporto di lavoro con uno dei club coinvolti. Da tali pronunce di quasi un decennio fa si è desunto il principio secondo il quale i diritti economici di un giocatore possono essere oggetto di comproprietà e quindi anche parzialmente trasferiti[8]. Invero, il TAS non si è espressamente soffermato sul fatto che terzi soggetti possano detenere quote di partecipazione sui diritti economici dei giocatori, ma ha svolto comunque un ragionamento semplice e lineare: se i diritti economici sono oggetto di contratto, essi possono essere oggetto di cessione, anche parziale, tra diversi soggetti.
V. Casistica internazionale
Il caso che ha dato inizio al dibattito europeo sui TPO è stato il famoso caso Tevez-Mascherano. Come noto i due calciatori argentini arrivarono nel 2006 al club inglese West Ham United dal club brasiliano Corinthians. Si scoprì in seguito che i diritti economici di Tevez erano in realtà posseduti da due società, la Media Sports Investments e la Just Sports Inc., mentre quelli di Mascherano dalla Global Soccer Agencies e dalla Mystere Services Ltd. Tutte e quattro le società erano rappresentate nell’operazione da Kia Joorabchian, con un’attività di brokering della Media Sports Investement guidata da Joorabchian stesso.
A causa di irregolarità nei contratti il West Ham United fu sanzionato dalla Premier League con la multa record di 5,5 milioni di sterline. Le successive vicende contrattuali spinsero poi la Premier League ad andare oltre la third party influence vietata dalla FIFA e a bandire qualsiasi forma di TPO.
Questa esperienza insegna che il fenomeno TPO è oggi diversamente regolato a livello europeo a seconda dell’impatto “negativo/positivo” che tali negozi hanno avuto nelle singole realtà. Infatti ciascuna federazione nazionale ha deciso di vietare o “silenziosamente” accettare tale tipologia di accordi a seconda dell’impatto che essi riversano sul settore calcistico del proprio paese.
Di seguito si svolgono brevi cenni sulla situazione nei paesi “calcisticamente” più sviluppati.
a) Inghilterra
L’Inghilterra, scottata in particolare dal predetto caso Tevez, con le nuove regole del 2008 e 2009 ha rafforzato le restrizioni ai TPO, chiedendo una maggiore trasparenza per qualsiasi accordo in cui sia coinvolta una terza parte e rendendo necessario presentare tali contratti alla Football Association (FA)[9].
Il primo caso di sanzione per TPO, è stato quello del giocatore argentino del Queens Park Rangers, Alejandro Faurlin. La commissione della FA rilevò che il club aveva di fatto acquistato il giocatore non da un club ma da una società terza, sanzionandolo con 4 punti di penalità.
Per risultare quindi “in compliance” con le restrizioni, spesso accade che quanto un club inglese voglia acquisire un giocatore sul quale “insistono” diritti economici di terzi, tali diritti debbano estinguersi prima del tesseramento in Inghilterra. I club inglesi pagano quindi ai club di provenienza il prezzo “complessivo” dei diritti federativi ed economici del giocatore, essendo poi questi club a dover risolvere le pendenze con i terzi soggetti.
Ovviamente tali meccanismo si traduce in differenze di competitività sul mercato. Non sarebbe infatti illogico sostenere, ai fini del Financial Fair Play della UEFA, che i club della Premier League siano svantaggiati nel reperimento di fonti di capitale alternativo rispetto ad altri club europei[10].
b) Francia
In Francia, l’art. 221 (Vendita e acquisto di diritti dei giocatori) della Charte du Football Professionnel stabilisce che un club non può stipulare contratti con persone fisiche o giuridiche (ad eccezione di un altro club) che direttamente o indirettamente portino tali persone ad acquisire o beneficiare in tutto o alcuni dei pagamenti a cui il club ha diritto quando vengono trasferiti uno o più dei suoi giocatori[11].
c) Spagna
In Spagna, con la possibile entrata in vigore della nuova Legge sullo Sport, sarà probabilmente regolato per la prima volta il ruolo degli investitori privati che acquisiscono quote dei diritti economici di un calciatore. A tal riguardo la Liga de Fútbol Profesional (LFP) si è mostrata favorevole all’ingresso nel mondo calcistico dei fondi comuni di investimento poiché permetterebbero di mantenere il livello competitivo, sempreché siano regolati e operino in piena trasparenza[12].
Ciò che infatti preoccupa non è tanto il fenomeno TPO in sé quanto piuttosto l’incertezza giuridica. Uno dei casi più eclatanti è stato quello del calciatore Roberto, a quel tempo portiere del RCD Saragozza. Il club, andato in fallimento, effettuò l’acquisto del giocatore per una cifra ufficiale di 8,6 milioni, prelevandolo dal Benfica. In verità, il Saragozza pagò al Benfica solo 300.000 euro, peraltro in due rate. Il resto fu corrisposto ad un fondo di investimento, la Quality Sports Investments. Il fondo aveva infatti acquistato i diritti economici del giocatore dal Benfica per poi cederli al Saragozza. La società incaricata di seguire il fallimento del Saragozza diede l’assenso all’operazione e, sebbene non sia stato acclarato, pare vi fosse una clausola che prevedeva la titolarità in squadra del portiere affinché fosse valorizzato ed acquistasse “peso” nel mercato trasferimenti[13].
Il rischio concreto è quindi di realizzare i timori della UEFA e far sì che siano alla fine i fondi a decidere "quando e a quanto" il giocatore venga venduto. Uno dei gruppi più attivi nel mercato spagnolo è il Doyen Sports Investments Group, con sede a Malta. Si tratta di un gruppo che di solito acquisisce meno del 50% dei diritti economici dal club e pattuisce che se il giocatore non venga venduto entro un periodo specificato, di solito quattro anni, il club dovrà ricomprare dal fondo i diritti economici precedentemente ceduti, restituendo prezzo ed interessi[14]. È di tutta evidenza che tale operazione somiglia molto più ad un mutuo che ad un investimento.
Tra le operazioni più note del Doyen Group figura il tesseramento del colombiano Radamel Falcao nelle file dell’Atletico Madrid. Fu infatti grazie a tale fondo che il club madrileno poté finanziare il tesseramento del giocatore. Con il trasferimento estivo di Falcao dall’Atletico Madrid al Monaco il fondo ha senza dubbio avuto il proprio ritorno economico, vista la significativa plusvalenza realizzata dall’Atletico.
d) Portogallo
In Portogallo gli accordi TPO sono uno dei pilastri del sistema calcio. Ad oggi, si stima che il 36% del “valore di mercato” dei giocatori sia infatti detenuto non dai club ma da terzi investitori. Molti club hanno addirittura costituito propri fondi di investimento, debitamente registrati presso la Commissione Nazionale sul Mercato dei Titoli. È il caso del Banco Espiritu Santo, il quale ad esempio pubblica regolarmente informazioni sul proprio patrimonio, redditività e risultati economici.
Essendo il paese con maggior “storia” sui TPO, anche per i suoi legami con il Brasile, il Portogallo è anche quello dove si stanno facendo largo nuove vie di monetizzazione del risparmio attraverso prodotti finanziari basati sul calcio[15]. Peraltro, in Europa vi è già un indice del mercato azionario costituito dalla valutazione delle 21 squadre di calcio europee quotate sui mercati regolamentati. Tra di loro vanno annoverate importanti squadre italiane ed europee quali ad esempio Juventus, Roma, Lazio, Ajax e Borussia Dortmund. È quello che è stato denominato lo STOXX Europe Football Index[16].
e) Italia
L’Italia è il paese che ha portato nella contrattualistica del calcio la cd. comproprietà, ossia il meccanismo secondo il quale due club calcistici siano comproprietari dei diritti economici dei calciatori. In questo accordo di “co-ownership” firmato tra i due club, entrambi diventano titolari del 50% dei diritti connessi al calciatore, decidendo poi di risolvere tale comproprietà a favore di uno di loro oppure di cedere entrambi a terzi.
Oggi, nonostante una sorta di “assistenza” finanziaria realizzata con le comproprietà, la crisi attuale rende gli accordi TPO sempre più attuali anche in un mercato che ne appariva immune[17]. Un caso recente è stato quello del brasiliano Philip Anderson, giocatore della Lazio i cui diritti economici appartengono a una società inglese, ma anche Borja Valero o David Pizarro[18]. Senza dubbio però uno dei casi di maggior rilievo giuridico ha visto coinvolto qualche anno fa il Genoa innanzi al TAS[19]. In un obiter dictum di quella decisione, il Collegio Arbitrale affermò indirettamente che la presenza di accordi “interni” tra club di origine, calciatore e terzi possono esistere, ma che non hanno alcun rilievo ai fini del contratto di trasferimento che due club possono perfezionare con l’accordo del giocatore.
Oggi quel che è certo è che le norme statutarie e regolamentari FIGC tacciono sui TPO, dovendosi quindi far riferimento per il mercato italiano al solo divieto di third party influence delle norme FIFA.
f) Russia
In Russia i TPO sono di fatto inutilizzati, in larga parte a causa delle peculiarità del calcio russo. Non vi sono previsioni specifiche nello Statuto della Federazione russa, ma va anche notato che i Club russi dipendono o da finanziamenti pubblici o da potenti tycoon[20].
6. Conclusioni
I TPO rappresentano oggi un fenomeno negoziale controverso, sia da un punto di vista commerciale che giuridico. Secondo chi, direttamente o indirettamente, ne beneficia (e.g. club, agenti, intermediari, consulenti, investitori) i TPO sono naturalmente visti con favore. Essi sostengono che il ricorrere a tale “finanza alternativa” permetta di mantenere la competitività delle squadre più modeste con quelle finanziariamente più potenti. In un settore dove i club faticano a sopravvivere con il reddito derivante dalla vendita dei biglietti, dalle sponsorizzazioni e dai diritti televisivi, il mercato trasferimenti e le “risorse connesse” risultano indubbiamente una fonte di reddito oltremodo importante. D’altra parte può comprendersi la preoccupazione di chi paventi operazioni poco chiare in una materia dove il giro di denaro è di sicuro interesse. Il solo art. 18bis della FIFA non pare essere un argine sufficiente ad assicurare il mantenimento dell’integrità delle competizioni e l’indipendenza dei club nei confronti dei giocatori e di queste “terze parti”.
Tuttavia, in punto di stretto diritto e nel silenzio della maggioranza delle federazioni sportive europee (ad eccezione di quella inglese, francese e polacca), i negozi TPO debbono considerarsi legittimi nell’ordinamento sportivo. In Spagna si sta peraltro andando nel senso di positivizzare l’istituto giuridico incanalandolo in norme che da un lato aiutino la stragrande maggioranza dei club indebitati e in fallimento, ma dall’altro garantiscano la trasparenza delle operazioni.
D’altra parte c’è chi, come l’avvocato belga Jean Louis Dupont, famoso per il “caso Bosman”, sostiene che non sia giusto fissare barriere nazionali sull’ammissibilità o meno di questi accordi, quantomeno se esse non siano condivise tra tutti i paesi dell’Unione Europea. Egli ha infatti sostenuto che le regole restrittive sui TPO presenti in Inghilterra non sarebbero lecite se comparate ad esempio a ciò che avviene in Spagna o Portogallo[21]. Se nel mercato trasferimenti “globale” è presente la variabile TPO, appare infatti incongruo che solo alcuni operatori possano accedervi. Secondo le norme comunitarie, ogni divieto in tal senso potrebbe leggersi come una violazione del principio della libera concorrenza all’interno dell’UE. Come noto, tali divieti potrebbero essere giustificati soddisfacendo alcuni criteri oggettivi e la proporzionalità delle misure, che nel caso concreto si tradurrebbe nel valutare se i TPO vadano o meno contro l’integrità dello sport. Lo stesso Jean Louise Dupont ha già sollevato la questione della incompatibilità del divieto dei TPO imposto dalla FA per la Premier League con le norme UE, affermando che “il principio base del diritto dell’Unione europea è la libertà d’impresa in cui la restrizione è l’eccezione. Si dovrebbe iniziare con il principio piuttosto che con l’eccezione[22]”.
Delle due l’una quindi. O ammetterli senza distinzioni o vietarli per tutti senza lasciare la discrezionalità decisionale alla sensibilità delle singole federazioni nazionali.
Nel frattempo, in attesa che FIFA e UEFA traccino normativamente una strada maggiormente chiara, ci troviamo di fronte ad un sistema calcio che continua ad attuare delle prassi negoziali prive di regolamentazione sportiva che sia unitaria e condivisa. Probabilmente regolare i TPO e porre dei “tetti” a tali finanziamenti sarebbe una soluzione adeguata e opportuna. Infatti, più che imporre delle restrizioni drastiche che vadano contro il mercato, appare opportuno delimitare e regolare le linee d’azione di tali tipologie di accordi. Ad esempio sarebbe essenziale definire il termine “influenza”, quantomeno a livello indicativo. Infatti in molti accordi TPO sono inserite clausole in cui si prevede ad esempio che il giocatore in questione debba essere titolare per un numero minimo di partite o possa essere trasferito solamente a fronte del superamento di una soglia di corrispettivo.
Un ultimo breve cenno va svolto per la situazione italiana. Nel silenzio della FIGC è il diritto civile a soccorrere l’interprete. Come noto, nel nostro ordinamento si possono stipulare ed eseguire i contratti anche se non espressamente previsti e tipizzati nel codice civile. In merito l’art. 1322, comma 2, c.c. svolge nel nostro ordinamento proprio la funzione di tutelare il principio costituzionale dell’autonomia negoziale, consentendo la stipulazione di contratti atipici qualora essi siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela.
Nel caso di specie, il riconoscimento degli accordi cd. TPO nell’ambito dell’ordinamento sportivo nazionale, non essendoci alcuna norma sportiva che li vieti espressamente a differenza di quanto avviene in Inghilterra o Francia, induce a ritenere come gli interessi realizzati tramite gli stessi siano ad oggi pienamente legittimi nel nostro ordinamento. In altre parole, tali accordi, seppur atipici, rivestono nell’ordinamento sportivo una legittimità che vale come garanzia di validità e meritevolezza anche per l’ordinamento statuale. Infatti, essendo il programma contrattuale dei TPO pienamente attuabile nell’ordinamento sportivo, ambito naturale nel quale si “giuridicizza” l’operazione negoziale programmata, la causa e l’oggetto del contratto devono ritenersi, in definitiva, leciti e possibili, salvo risultino contrari a norme imperative.
Ciò detto, resta indubbio che la priorità sia stabilire regole chiare e volte a rendere trasparenti i rapporti tra club, giocatori e terzi investitori. In tale ottica, sarebbe auspicabile un intervento “dall’alto” del mondo del calcio, affinché venga regolato un fenomeno che indubbiamente rischia di portare con sé una serie di effetti collaterali. Peraltro, c’è da notare come i TPO potrebbero essere già il passato. Negli Stati Uniti la Fantex, una società venture capital, ha manifestato l’intenzione di quotare su una piattaforma di scambi privati (creata dalla Fantex stessa) il giocatore Arian Foster, running back degli Houston Texans, uno dei giocatori più pagati della National Football League. Tecnicamente dovrebbe essere creata una newco in cui confluiranno i futuri guadagni del giocatore, il quale riceverà 10 milioni di dollari in cambio del 20% del suo attuale contratto di performance, dei suoi contratti pubblicitari e di quello che guadagnerà in futuro in campo o in un altro ambito legato allo sport (ad esempio come commentatore). Chi investirà nelle azioni della newco potrà acquisire una percentuale dei futuri introiti del giocatore.
Ad oggi c’è di divertente che tale quotazione è in stand by perché il giocatore dovrà sottoporsi a breve ad un intervento alla schiena[23]. C’è comunque da aspettarsi che se la cosa funzionerà la rosa di giocatori quotati si allargherà anche ad altre discipline, fino a varcare l’oceano e il Mediterraneo.
[1] L’Avv. Mario Vigna è Associate dello Studio Legale e Tributario Coccia – De Angelis – Pardo & Associati. Componente del Progetto di Diritto Societario ed Industriale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma, è esperto di diritto sportivo. Già componente della Procura Antidoping del CONI dal 2009, dal luglio 2013 riveste il ruolo di Vice Procuratore Capo.
[2] In un recente rapporto di Bloomberg, sembra che i “terzi” abbiano acquisito diritti sui trasferimenti di più di 1.100 giocatori professionisti nelle top league europee. I club maggiormente coinvolti sono l’Atletico Madrid e il Porto, i quali hanno venduto parte o la totalità dei diritti economici sui loro giovani di talento per trovare fondi. Pare che la Doyen Sports Investments Ltd abbia investito negli ultimi tre anni 80 milioni di euro per acquisire i diritti economici dei calciatori. Si veda link: http://www.bloomberg.com/news/2013-11-20/investors-take-stakes-in-up-to-1-100-soccer-players-kpmg-says.html
[3] Si veda “Fondos de inversiòn en el fùtbol: derechos econòmicos e influencia de terceros”- Guillermo Amilibia Pérez– IUSPORT.
[4] In Italia, per i calciatori professionisti, stipulato ai sensi della Legge 23 marzo 1981, n. 91 sul professionismo sportivo.
[7] Circa i TPO si legge “This commercial transaction is legally possible only with regard to player’s who are contract, since player who are free from contractual engagements –the so-called free agents – may be hired by any club freely, with no economic rights involved (…) in accordance of the above distinction, while a player registration may not be shared simultaneously among different clubs, a player can only play for one club at a time, the economic rights being ordinary contract rights, may be partially assigned and thus apportioned among different right holders. The finds implicitly confirmation of the lawfulness of contracts trading portions of economic rights in both the 1997 and 2001 FIFA Regulations”
[8] Altre decisioni particolarmente rilevanti in ambito TAS sono CAS 2004/A/635 RCD Espanyol de Barcelona v. Atletico Velez Sarsfielddove si legge “A Club holding an employment contract with a player may assign with the player’s consent, the contract rights to another clubs in exchange for given sum of money or other consideration, and those contract rights are so-called economic rights to the performances of a player”, CAS 2004/A/701 Sport Club Internacional v. Galatasaray Spor Kulübü Dernegidove si legge “A legal distinction should be drawn between the ‘registration’ of a player and the ‘economic rights’ related to a player: the registration of a professional player with a club and the pertinent national federation serves the administrative purpose of licensing that player and certifying that solely a given club is entitled to field him during a given period; such registration is possible only if there is an employment contract between the club and the player; then, a club holding an employment contract with a player may assign, with the indispensable player’s consent, the contract rights to another club in exchange for a given sum of money or other consideration, and those contract rights may be defined as the ‘economic rights to the performances of the player’; this commercial transaction is legally possible only with regard to players who are under contract, since players who are free from contractual engagements –the so-called ‘free agents’ – may be hired by any club freely, with no economic rights involved’ eCAS 2005/A/848 Internacional v. Bayern Leverkusen e CAS 2009/A/1756 Metz v. Galatasaray Spor Kulübü Dernegi.
[9] Estratto dalle Premier LeagueRules – Rule L38: “In respect of a player whom it applies to register as a Contract Player, a Club is permitted to make a payment to buy out the interest of a person or entity who, not being a Club or club, nevertheless has an agreement either with the club with which the player is registered, or with the player, granting it the right to receive money from a new Club or club for which that player becomes registered.”
[10] Si veda l’opinione di David Geey “Third Party Player Ownership: A UK Perspective” al link http://www.danielgeey.com/third-party-player-ownership-a-uk-perspective/
[11] La Charte du Football Professionnel (Charter of Professional Football), Art. 221, recita (versione inglese): “A club may not enter into with legal persons, with the exception of another club, or physical, a convention which the object causes, directly or indirectly, to the benefit of such persons, an assignment or a total acquisition or partial of the economic rights arising from the fixing of the various allowances to which he is entitled during the mutation of one or more of its players. The breach of the first paragraph of this article is sentenced to a penalty at least equal to the amount of the sums unduly paid, at the club in violation and disciplinary sanctions against its leaders. It can also result in the limitation of approval or non-approval of the new contracts for one or more seasons. The National Board of management control is competent for violations of the rules laid down in the first paragraph of this article.”
[12] Si veda Fundaciòn del Fùtbol Profesional (FFP) Desayuno Jurìdico – Noticia de Iusport 20 Settembre 2013.
[13] Si veda il reportage del El Pais “La nueva ‘burbuja’ del fútbol” al link http://elpais.com/diario/2011/08/03/deportes/1312322402_850215.html
[14] Si veda El Pais Economia “Apueste por el próximo Cristiano” al link http://economia.elpais.com/economia/2012/04/05/actualidad/1333637279_449067.html e El Pais Sociedad “Los fondos de inversión saltan al campo de juego” al link http://sociedad.elpais.com/sociedad/2013/06/11/actualidad/1370977708_518684.html
[15] Si veda Rankia.com al link http://www.rankia.com/articulos/210185-productos-financieros-basados-futbol.
[17] Si veda il link http://www.elconfidencial.com/deportes/futbol/2013/07/15/el-futbol-italiano-se-abre-a-los-fondos-de-inversion-con-doyen-como-referencia-124981, secondo il quale alcuni dirigenti italiani avrebbero avuto incontri con esponenti del Doyen Group.
[18] Si veda http://www.supporters-in-campo.org/2013/07/il-lato-oscuro-del-calcio-globale-3-doyen-la-holding-che-commercia-calcio/. Per Pizzarro va anche ricordato il caso CAS 2008/A/1665 Jorge Horacio Cyterszpiler v Udinese Calcio S.p.A. .
[19] Nel caso CAS 2008/A/1482 Genoa CFC v CD Maldonadosi legge “The Panel does not need to decide whether the July, 9, 2003 Contract, was valid. Indeed, the existence itself of such contract is irrelevant as with regard to the validity of a Transfer Agreement. For international registration purposes, it is only the club, as employer, that is able to transfer a player under an employment contract to another club. The whether further “internal” arrangements may exist between investors, the player and even the club itself, does not matter, as it does not have any legal impact on the validity of the Transfer Agreement”.
[20] Si veda Mikhail Prokopets – “Third Party Players in Russia” – Opinion article in Sports Law Bulletin, June-October 2012.
[21] Si veda Paulo Gonçalves, “Brief Note for a positive view on player’s third-party ownership”- Opinion article. Sports Law Bulletin, June-October 2012.
[22] Si veda “A review of third party ownership – Where do we go from here?” diJuan de Dios Crespo Pérez y Adam Whyte – Opinion article. Sports Law Bulletin, June-October 2012ove si afferma “The main principle under EU law is the freedom of enterprise, where the restriction is the exception. You should start with the principle rather than the exception”.