In altri articoli di questo Fiscosport Flash – newsletter n. 7/bis/2009 – vengono ampiamente illustrati sia la circolare 12/E che il punto 4.2 della circolare 13/E, entrambe del 9/4/09.
Oggetto di questo breve scritto è invece l’approfondimento di quanto nella circolare 12/E è scritto a proposito del diritto per le associazioni sportive dilettantistiche, e in generale per gli enti non commerciali, di avvalersi delle agevolazioni di cui all’art. 148 T.U.I.R. ed all’art. 4 del D.P.R. 633/72, muovendo dalla distinzione fra attività commerciali e non commerciali.
1) Il, condivisibile, punto di partenza
Il punto 1.1.1 della circolare inizia affermando che il regime fiscale di favore è riservato agli enti che non svolgono in via esclusiva o principale attività commerciale, ai sensi dell’art. 73 T.U.I.R.
E fin qui non possiamo che concordare.
2) La prima affermazione non condivisibile
Subito dopo, la circolare prosegue con la prima delle affermazioni che non possiamo assolutamente condividere: “Gli enti di tipo associativo che svolgono in via esclusiva o principale attività commerciale non possono usufruire del regime di favore previsto dall’art. 148 del T.U.I.R. e dall’art. 4, commi quarto e sesto, del D.P.R. n. 633” (da qui in avanti faremo riferimento alle sole imposte dirette, dato che la disciplina dell’IVA ne ripete pedissequamente i contenuti).
L’art. 73 T.U.I.R., punto di partenza della circolare stessa, recita:
“1. Sono soggetti all’imposta sul reddito delle società:
…
c) gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonchè i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali;
…
4. L’oggetto esclusivo o principale dell’ente residente e’ determinato in base alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto, se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata. Per oggetto principale si intende l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dalla legge, dall’atto costitutivo o dallo statuto.
5. In mancanza dell’atto costitutivo o dello statuto nelle predette forme,l’oggetto principale dell’ente residente e’ determinato in base all’attività effettivamente esercitata”.
Quindi per individuare se un ente è commerciale o no, a meno che non manchi l’atto costitutivo o lo statuto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata o registrata, ciò che rileva è l’oggetto esclusivo o principale dell’ente, quale è indicato nell’atto costitutivo o nello statuto; indipendentemente, quindi, dall’attività effettivamente svolta.
Per evitare abusi, l’art. 149 del T.U.I.R. prevede la possibilità della “Perdita della qualifica di ente non commerciale”; al primo comma recita infatti: “Indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta”.
Ma il quarto comma di tale articolo stabilisce che “Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili ed alle associazioni sportive dilettantistiche”.
Chiara è quindi la costruzione stabilita da tali due articoli:
– perché un ente sia considerato non commerciale si deve fare riferimento all’oggetto indicato nel suo statuto, e non all’attività effettivamente svolta;
– solo per i soggetti diversi dalle associazioni sportive dilettantistiche, e dagli enti ecclesiastici riconosciuti, si ha la perdita della qualifica di ente non commerciale se viene svolta prevalentemente attività commerciale.
La già citata affermazione della circolare, che “Gli enti di tipo associativo che svolgono in via esclusiva o principale attività commerciale non possono usufruire del regime di favore previsto dall’art. 148” non vale quindi per le associazioni sportive dilettantistiche e gli enti ecclesiastici riconosciuti.
Sul punto quindi l’affermazione della circolare appare, per quanto riguarda le associazioni sportive, chiaramente non corretta.
Va da sé che, qualora l’associazione sportiva indichi nel proprio statuto un oggetto (p.es. divulgazione dell’atletica o della pallavolo) e svolga un’attività diversa (p.es. gestione di un villaggio vacanze), la “blindatura” costituita dall’oggetto sociale viene travolta e resa inoperante dal fatto che tale statuto non è nella realtà rispettato. Ma siamo nella patologia, non nella vita ordinaria di un sodalizio.
3) Il prosieguo del punto 1.1.1 della circolare: l’esposizione di considerazioni (a parte quanto detto qui sopra) assolutamente condivisibili.
Nel prosieguo del punto 1.1.1 la circolare espone una serie di considerazioni assolutamente condivisibili (salvo il fatto che si applicano solo agli enti diverso dalle associazioni sportive e dagli enti ecclesiastici):
a) “la commercialità o meno di un’attività è determinata ai fini fiscali sulla base di parametri oggettivi che prescindono dalle motivazioni del soggetto che la pone in essere e dalle sue finalità”;
b) “la qualificazione ai fini fiscali dell’attività deve essere operata verificando se la stessa possa ricondursi fra quelle previste dell’art. 2195 del codice civile o, qualora essa consista nella prestazione di servizi non riconducibili nel menzionato articolo … se venga svolta con i connotati dell’organizzazione, della professionalità e abitualità”;
c) “la funzione organizzativa dell’imprenditore può rilevarsi dal coordinamento dei mezzi finanziari nell’ambito di un’operazione di rilevante entità economica”.
In sostanza nel momento in cui, per stabilire se un ente è commerciale o non commerciale, si passa all’esame dell’attività effettivamente svolta, la stessa deve essere valutata sulla base dei principi generali stabiliti dal codice civile (art. 2195) nonché, nel caso di prestazione di servizi non indicati nell’art. 2195 (p.es. prestazioni didattiche), sulla base dei principi generali della normativa IVA: organizzazione, professionalità e abitualità.
4) L’equivoco (prima) e il grave errore (dopo) dell’iter che la circolare compie, muovendo da tali considerazioni.
Al successivo punto 1.1.2 la circolare prosegue affermando che il comma 3 dell’art. 148 T.U.I.R. (come il comma 4 dell’art. 4 D.P.R. 633/72) prevede la “decommercializzazione” delle attività rese in diretta attuazione degli scopi istituzionali nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, ecc., ripetendo testualmente il testo di legge, compresa l’elencazione dei requisiti indicati dal sesto comma dell’art. 148.
Tutto ciò sarebbe assolutamente corretto se fosse assolutamente chiaro che “decommercializzato” significa “non commerciale”, ma così (proseguendo nella lettura della circolare) forse non è.
Dire che un’attività non è commerciale è chiaro, ed è ciò che fa l’art. 148:
Comma 1 – “Non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli …”;
Comma 2 – “ Si considerano tuttavia effettuate nell’esercizio di attività commerciali …”;
Comma 3 – “Per le associazioni … sportive dilettantistiche … non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso il pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni … dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati …”.
Dire che un’attività è “decommercializzata” può significare:
– che essa non è commerciale per espressa previsione di legge, ma può anche, forse, significare
– che essa è commerciale, ma che viene dalla legge trattata come non commerciale.
E’ distinzione di non poco conto, e ciò emerge dall’ultimo periodo del punto 1.2.1.2 della circolare, che “salta il fosso” dell’equivoco con un’affermazione palesemente e gravemente errata, nel momento in cui fa riferimento a “operazioni strutturalmente commerciali anche se non imponibili ai sensi dell’art. 148, terzo comma, del T.U.I.R.”.
E allora appare a nostro avviso evidente che l’utilizzo del termine “decommercializzato” al posto del ben più chiaro “non commerciale” era il primo passo per introdurre una terza categoria di operazioni, fra le commerciali e le non commerciali: le operazioni “strutturalmente commerciali” ma “decommercializzate” o “non imponibili”; categoria che la legge assolutamente non prevede e che la circolare introduce con una finalità dichiarata e una (ben più grave) che rimane solo “nell’aria”.
La prima finalità è porre l’onere della comunicazione dei dati anche sulle associazioni che percepiscono solo corrispettivi specifici ex art. 148, terzo comma.
E’ certo vero, come segnalano i colleghi Scarpa e Sinibaldi nell’altro articolo sull’argomento, che sono proprio questi i corrispettivi che l’Agenzia vuole monitorare, ed anche noi riteniamo che tale monitoraggio sia utile non solo all’Erario ma anche agli stessi operatori (seri) del settore, ma l’art. 30 del D.L. 185/08, in combinato disposto con l’art. 148 T.U.I.R., dice chiaramente un’altra cosa:
– i corrispettivi specifici non sono commerciali (art. 148);
– le associazioni sportive dilettantistiche, iscritte al registri presso il CONI, che non svolgono attività commerciale (e chi percepisce solo corrispettivi specifici non svolge attività commerciale) sono esonerate dalla comunicazione.
Ponendo a carico anche di tali associazioni l’obbligo di invio della comunicazione la circolare oltrepassa quindi palesemente i limiti della legge ed appare quindi sul punto chiaramente illegittima.
La seconda finalità, che a nostro avviso “rimane sullo sfondo” ma alla quale la circolare pare spianare la strada e che deve essere immediatamente ed assolutamente contestata con la massima fermezza, può essere così schematizzata:
– i corrispettivi specifici ex art. 148 sono sì “decommercializzati” o “non imponibili” ma “strutturalmente commerciali”;
– e se sono (“strutturalmente”) commerciali, allora l’ente (diverso dalle associazioni sportive dilettantistiche e dagli enti ecclesiastici) che consegua solo o prevalentemente tali ricavi non è ente non commerciale.
Ci auguriamo che tale conclusione non fosse fra le finalità della circolare, ma se vi fosse tale dubbio, riteniamo sia assolutamente indispensabile contrastarlo con la massima forza: la chiarissima formulazione dell’art. 148 T.U.I.R. stabilisce che le attività in diretta attuazione degli scopi istituzionali nei confronti degli associati non sono commerciali, e ciò vale sia per determinarne l’imponibilità o meno, sia per valutare se l’attività svolta in via esclusiva o prevalente sia o meno commerciale.
5) Un passo indietro: l’intento della norma
Dopo aver approfondito quanto la circolare scrive sul concetto di commercialità, spendiamo qualche parola sull’obiettivo dichiarato nella premessa della circolare: “contrastare l’uso distorto dello strumento associazionistico suscettibile di intralciare – tra l’altro – la libertà di concorrenza fra gli operatori commerciali”.
E’ un argomento caro a chi sostiene la tesi, certo corretta in linea di principio, che le associazioni sportive che operano in settori nei quali operano anche imprese commerciali (palestre e piscine in primo luogo) svolgano nei confronti di esse concorrenza sleale.
La volontà di contrastare detta pratica di concorrenza sleale potrebbe giustificare interpretazioni in un certo senso “forzate, ma a fin di bene”. Su tale approccio, senza la pretesa di dirimere definitivamente la questione, esponiamo alcune considerazioni.
Ciò che viene a nostro avviso trascurato è che l’attività sportiva (come quella culturale e quella di formazione extra scolastica, per citarne altre) può essere svolta in due modalità ben distinte:
– come attività commerciale, mirando alla massimizzazione del profitto e quindi a ritrarne un utile;
– come attività non commerciale, mirando alla divulgazione, a scopi sociali, al perseguimento di obiettivi non monetari (e non necessariamente “altruistici”, quali p.es. la possibilità di svolgere a costi più contenuti l’attività sportiva che interessa, come accade quando più praticanti una disciplina mettono in comune le proprie disponibilità per acquistare attrezzature o spazi per svolgerla, o il prestigio personale, l’affermazione in ambito extra-lavorativo, la realizzazione di aspirazioni individuali, che un gruppo di persone può ricercare attraverso la costituzione di un team sportivo).
Se l’attività viene svolta con obiettivi commerciali, la legge non stabilisce vincoli specifici; o meglio ne stabilisce di “indiretti”, quali gli studi di settore o l’indagine sugli operatori che tali utili per anni dichiarano di non aver conseguito: hai dichiarato di svolgere tale attività per perseguire un utile, perché dopo anni che non lo consegui continui a svolgerla?
Se invece l’attività viene svolta senza obiettivi commerciali, dato che è dalla legge ritenuta di interesse pubblico, le vengono concesse specifiche agevolazioni; contestualmente alla concessione delle agevolazioni, la legge stabilisce vincoli ben precisi: le agevolazioni spettano solo se siamo ben certi che effettivamente lo scopo di lucro non vi sia (divieto di distribuzione anche indiretta, ecc.).
Ciò premesso, chi decide di intraprendere tale attività deve chiaramente decidere con che modalità vuole farlo, senza equivoci e “furbate”, e la legge deve sorvegliare che:
– chi ha scelto la modalità non commerciale rispetti tutte le disposizioni che la definiscono e vincolano (che l’art. 148 T.U.I.R. e l’art. 90 D. Lvo 289/02 chiaramente stabiliscono), senza “sconfinare” nel commerciale;
– coloro che hanno scelto la modalità commerciale competano fra di loro nel pieno rispetto delle regole.
LA CIRCOLARE N. 12/E del 9/4/09, sull’art. 30 del D.L. 29/11/2008 n. 185: QUALE COMMERCIALITA’?
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