Il primo punto affrontato è quello delle organizzazioni che si sono dotate di una struttura federativa. Le soluzioni prospettate sono per lo più condivisibili anche se ci si chiede se occorreva una presa di posizione ministeriale sulla questione. Evidentemente non vi è una uniformità di trattamento sul territorio nazionale.
Le direttive impartite dall’Agenzia delle Entrate prevedono che la struttura degli enti organizzati su base federativa deve essere attentamente valutata basandosi, a titolo esemplificativo, su questi elementi:
? potere dell’ente di autorganizzarsi secondo una propria disciplina organizzativa autonoma
? l’esistenza di un patrimonio proprio e separato idoneo a costituire il fondo comune dell’associazione locale
? la redazione di un proprio bilancio o rendiconto distinto da quello nazionale
In merito all’autorganizzazione della struttura locale, è necessario che la stessa abbia soci propri e un proprio organo assembleare dotato del potere di:
? decidere la propria gestione
? deliberare provvedimenti modificativi dell’originario statuto
? nominare i membri dell’organo direttivo
? deliberare in modo autonomo, se necessario, lo scioglimento dell’ente.
Tuttavia, occorre osservare che la redazione di un proprio bilancio, separato da quello nazionale, non è un elemento di per sé essenziale: una sezione locale (non dotata di autonomia patrimoniale) di un ente può redigere un bilancio proprio per attuare un controllo gestionale, ma il solo bilancio non può essere considerato un indice di autonomia.
E’ invece indice di autonomia il bilancio sottoposto per statuto all’approvazione dell’assemblea dei soci della sezione locale.
La possibilità di modificare lo statuto originario, in realtà non significa molto perché tale evenienza il più delle volte pone al di fuori del contesto federativo l’associazione: nella realtà, è assai frequente che l’associazione “madre” imponga un modello di statuto alle associazioni “figlie” nonché la clausola per la quale ogni modifica statutaria o è approvata dalla “madre” o all’associazione “figlia” non è rinnovata l’affiliazione.
Le maggiori perplessità nascono dall’esame del secondo punto della circolare nel quale si richiama la risoluzione n. 83/E del 30/06/2005 nella quale l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che una O.n.l.u.s. non può detenere partecipazioni totalitarie o di controllo in società di capitali. Al massimo è ammesso il possesso di una partecipazione che si sostanzi in una gestione statico-conservativa del patrimonio.
L’Agenzia delle Entrate sostiene che si configurerebbe l’esercizio di un’attività non consentita alle O.n.l.u.s..
Il caso non è del tutto remoto, stante il fatto che la costituzione di società commerciali da parte di O.n.l.u.s. è uno dei modi per pilotare operazioni di raccolta fondi, aventi natura prettamente commerciale, che altrimenti potrebbero essere precluse alle O.n.l.u.s..
Si tratta di una scelta strategica: anziché svolgere operazioni qualificabili come “connesse”, spesso si decide di costituire una società commerciale. Questa svolge le operazioni aventi riflessi commerciali, senza godere di alcun regime fiscale di favore e quindi non lesivo della concorrenza, sottosta a tutti gli strumenti di accertamento previsti dalle leggi vigenti, paga le imposte al pari di tutte le altre società e distribuisce i dividendi all’unico socio che è la O.n.l.u.s. appunto.
La prima perplessità nasce dal fatto che, sia nella risoluzione n. 83/E del 30/06/2005 che nella n. 59/E che si sta commentando, l’Agenzia delle Entrate non supporta la propria tesi con alcuna argomentazione, limitandosi ad affermare che risulta inconciliabile con la natura di O.n.l.u.s. un rilevante potere di gestione nella società partecipata.
La seconda perplessità è che non vi è alcuna previsione legislativa in tal senso: nel d.lgs. 460/97 e, ancora prima, nella legge delega n. 662/96 non si rinviene alcuna incompatibilità al possesso di partecipazioni qualificate o di controllo di società commerciali né alla direzione delle stesse da parte delle O.n.l.u.s..
La terza perplessità è che, se l’attività della società commerciale è funzionale al reperimento dei fondi destinati alla O.n.l.u.s., non si vede quale motivo osterebbe a questa situazione. Se la società commerciale controllata dalla O.n.l.u.s. opera in regime di libera concorrenza al pari degli altri soggetti for profit, senza utilizzare il regime fiscale di favore previsto per le operazioni direttamente connesse, che il legislatore ha voluto enucleare perché conscio che potenzialmente avrebbero potuto turbare il mercato o prestare il fianco a manovre elusive, dov’è lo scandalo? E’ così disdicevole che una O.n.l.u.s. paghi le imposte come tutti gli altri soggetti for profit?
La quarta perplessità viene dall’evidente incongruenza tra la risposta all’interpello e la recentissima legge delega sulle imprese sociali: se queste possono essere costituite anche da enti non profit, ci troveremmo a concludere che le O.n.l.u.s. non potrebbero essere promotrici della costituzione e del controllo di imprese sociali che come sappiamo sono imprese commerciali in tutto e per tutto ma la cui attività si svolgerà nell’ambito delle attività socialmente utili.
Il terzo punto della circolare n. 59/E è quantomeno controverso. Se da una parte si afferma che società commerciali ed enti pubblici possono far parte di un ente qualificato come O.n.l.u.s., dall’altro si afferma che tali soggetti non possono esercitare un’influenza dominante nella O.n.l.u.s. a pena del disconoscimento di tale qualifica.
L’affermazione è a dir poco pericolosa perché, sgombrato il campo dall’influenza dominante esercitata con il diritto di voto, poiché nell’assemblea vige il voto singolo, resta l’influenza dominante su base economica.
Il che significa che dovremmo revocare lo status di O.n.l.u.s. a tutte quelle organizzazioni che basano le proprie entrate su di un unico rapporto convenzionale stipulato con un ente pubblico oppure ricevono consistenti erogazioni da un’unica società commerciale.
Forse non ci si è resi pienamente conto delle conseguenze di una simile affermazione perché non si è soppesato sufficientemente il significato di “influenza dominante”, argomento non del tutto lineare anche in ambito di soggetti for profit nonostante i principi di consolidamento enunciati nel d.lgs. 127/91.
Nella circolare n. 59/E tra l’altro si fa riferimento ad una sentenza n. 13/19/07 del 24/01/2007 della Commissione Tributaria Regionale Lombardia riferito ad un caso certamente controverso che, a ben vedere, è difficile riprodurre alla generalità dei soggetti e quindi usare per argomentare in senso assoluto il problema. Nel caso specifico infatti si trattava di tre società commerciali facenti capo ad un unico gruppo societario che hanno costituito (si legge nella sentenza) un’associazione denominata “Fondazione XY”.
Il primo punto controverso è la natura dell’ente in questione: o si è un’associazione o si è una fondazione. Il codice civile distingue nettamente i due soggetti.
L’associazione (o fondazione che sia) ha correttamente sostenuto la tesi secondo la quale la natura giuridica degli enti che partecipano alla costituzione di un nuovo ente non si trasmette a quest’ultimo (principio sancito delle sentenze n. 11541 del 23/11/1993 e n. 110 del 13/01/1999 Corte di Cassazione SS.UU.), tuttavia il problema maggiore era nelle attività annunciate nello statuto, probabilmente, non perfettamente in linea con quanto indicato nell’art. 10, comma 1, lettera a), d.lgs. 460/97 e altrettanto probabilmente non argomentate sufficientemente nel ricorso.
Se si deve introdurre il concetto di influenza dominante, effettivamente, il caso prospettato non permette una diversa soluzione perché le tre società commerciali esercitano certamente tale influenza: i tre soci sono loro.
Tuttavia se anziché un’associazione si fosse costituita una fondazione (nel vero senso del termine) avremmo sortito lo stesso effetto?
In altri termini: una fondazione costituita con un apporto notevole da parte di un ente pubblico (ve ne sono parecchie al servizio di ospedali per esempio) può essere considerata O.n.l.u.s. per tale circostanza? oppure per il fatto che il presidente e i componenti del consiglio di amministrazione sono nominati dall’ente pubblico si deve disconoscere lo status di O.n.l.u.s.?
Eppure si tratta di fondazioni che operano in regime O.n.l.u.s. da anni e la loro attività non è mai stata messa in discussione.
Il punto 4 della circolare n. 59/E prende in considerazione il caso di una O.n.l.u.s. che “esce” da tale regime pur rimanendo nell’ambito del non profit.
Secondo l’Agenzia delle Entrate solo la parte di incremento patrimoniale riferibile al periodo in cui l’ente è stato in regime O.n.l.u.s. deve essere devoluta secondo le disposizioni proprie delle O.n.l.u.s.. In sostanza, il patrimonio formatosi prima e dopo il periodo O.n.l.u.s. rimane all’ente.
Anche il punto 5 appare condivisibile: le retribuzioni e i compensi degli amministratori e dei lavoratori dipendenti delle O.n.l.u.s. possono superare il limite posto nell’art. 10, comma 6, lettera e), d.lgs. 460/97 che identifica le situazioni considerate distribuzione indiretta di utili.
La O.n.l.u.s., qualora ne ricorrano i presupposti, deve presentare un’istanza di disapplicazione della norma, ai sensi dell’art. 37-bis d.P.R. 600/73.
Anche i punti 6 e 7 sono condivisibili: le indicazioni riguardano le raccolte pubbliche di fondi in occasione di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione mediante cessione di beni o di servizi ai sovventori di modico valore.
L’unica cosa che è praeter legem (oltre la legge) è l’affermazione che l’Agenzia delle Entrate fa a proposito della destinazione dei fondi raccolti: si ritiene che i fondi raccolti debbano essere destinati per la maggior parte del loro ammontare a finanziare i progetti e l’attività per cui la raccolta fondi è stata attivata. I fondi raccolti, in sostanza, non devono essere utilizzati dall’ente per autofinanziarsi a scapito delle finalità solidaristiche che il legislatore fiscale ha inteso incentivare.
In base a tale affermazione, i risultati delle raccolte fondi devono essere destinati ad un progetto preciso e non a finanziare le organizzazioni. Ci si chiede allora che cosa possa finanziare l’hardware delle organizzazioni…
Forse sarebbe meglio verificare se l’organizzazione globalmente riesce a contenere i costi generali di gestione come avviene per esempio per le charities inglesi.
Sono sicuro che avremmo non poche sorprese.