Lo scorso 21 ottobre si è tenuta a Taranto, presso il Centro Congressi (Sala N. Resta) della locale Camera di Commercio, la presentazione dell'edizione 2011 del Libro bianco sul Terzo settore (ed. Il Mulino), curata dal prof. Stefano Zamagni, Presidente dell'Agenzia del Terzo settore.L'evento è stato organizzato dalla Camera di Commercio di Taranto, dall'Agenzia per il Terzo settore e dal Centro di Cultura per lo Sviluppo "G. Lazzati" di Taranto, all'interno del percorso formativo 2011-2012 dell'Accademia Mediterranea di Economia Civile. Con piacere proponiamo di seguito un sunto dell'intervento di Zamagni sullo stato attuale del mondo del non profit. * Maurizio Mottola - Dottore Commercialista e Revisore Legale in Taranto
Stefano Zamagni è Presidente dell’Agenzia per il Terzo settore dal 2007 e, come di prassi, in prossimità della scadenza del mandato quinquennale ha curato l’edizione 2011 del Libro bianco sul Terzo settore.
Si tratta di un lavoro di ricerca a carattere intersettoriale realizzato da una équipe di economisti, giuristi, dottori commercialisti, sociologi, politologi e protagonisti vari dell’associazionismo, della cooperazione e del volontariato, che riassume gli aspetti salienti del “non profit” italiano negli ultimi cinque anni, esponendone i punti di forza e analizzando la natura degli ostacoli che ne impediscono l’ulteriore evoluzione e crescita.
Si riporta di seguito una sintesi dell’appassionato intervento del prof. Stefano Zamagni, che non ha risparmiato critiche e denunce nei confronti della classe politica, responsabile, a suo dire, di non eseguire quanto potrebbe (e sopratutto dovrebbe) in favore del Terzo settore soffocandone il potenziale e relegandolo a “ruota di scorta” del sistema economico nazionale.
Il settore dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione, si è sviluppato secondo due diversi modelli, il “modello redistributivo” e il “modello produttivo”.
Il modello redistributivo trae origine dall’esperienza “filantropica” anglosassone del ‘700 e si basa sul paradigma della redistribuzione della ricchezza da altrui prodotta a favore dei bisognosi.
Il modello produttivo invece è nato in Italia nel ‘300, quando in Umbria e in Toscana venivano creati i primi ospedali, grazie alle “confraternite” e alle “misericordie”, oltre alle scuole e alle università.
Il modello produttivo, a differenza di quello redistributivo, genera ricchezza piuttosto che redistribuirla, offrendo il valore aggiunto in grado di soddisfare i bisogni della collettività.
A partire dal secondo dopoguerra, in Italia, il modello produttivo viene sostituito dal modello redistributivo, a seguito della nascita del “welfare state”, secondo cui è lo Stato che deve occuparsi dei portatori di bisogni, finanzando ciò attraverso il sistema generale di tassazione.
Secondo Zamagni le conseguenze negative dell’introduzione del welfare state in Italia sono state sostanzialmente due:
– “deresponsabilizzazione” della collettività nei confronti dei soggetti bisognosi – di loro se ne occupa lo Stato e quindi ciascun cittadino si limita a contribuire attraverso il prelievo fiscale;
– “atteggiamento passivo” da parte degli operatori del Terzo settore nei confronti della Pubblica Amministrazione – il Terzo settore ha iniziato a dipendere dallo Stato a livello finanziario.
E’ stata sopratutto la dipendenza finanziaria a creare le serie difficoltà in cui versa il Terzo settore italiano a partire dal 2008, ovvero dall’inizio del periodo di crisi economica globale.
Al fine di superare tali difficoltà e permettere al Terzo settore di svolgere un ruolo strategico nel rilancio dell’economia italiana occorre ritornare al modello produttivo, attraverso:
– la creazione di “alleanze” tra non profit, imprese “for profit” ed Enti locali, in grado di mettere in pratica il principio della “sussidiarietà”, di cui agli artt. 118 e 119 della Costituzione relativi al decentramento delle funzioni amministrative e all’autonomia finanziaria degli Enti locali, nella versione cosidetta “circolare”;
– l’adozione delle necessarie riforme legislative.
Ad avviso di Zamagni, nell’auspicato nuovo modello produttivo il Terzo settore, grazie all’esperienza, alla reputazione, al know how e alla conoscenza dei bisogni radicati sul territorio, potrebbe mettere in moto un circolo virtuoso che lo vedrebbe coinvolto assieme ai privati e alla pubblica amministrazione (“sussidiarietà circolare”).
Occorrerebbe però garantire il mutuo rispetto e la parità dei diritti e doveri per tutti i soggetti protagonisti.
Le istanze e le proposte degli operatori non profit dovrebbero pertanto essere ascoltate, riconosciute e incentivate dagli amministratori locali e non, come accade troppo spesso, “concesse” in virtù dell’autorità ad essi attribuita.
Il privato dovrebbe poter intervenire più agevolmente a sostegno delle attività del Terzo settore (sopratutto in tempi di crisi), senza dover faticare per superare gli odierni ostacoli burocratici.
Sarebbe altrettanto necessario un atto di responsabilità da parte della classe politica dirigente per realizzare in tempi brevi le opportune e richieste modifiche di legge.
Si pensi al Libro I del Codice Civile, unico a non essere mai stato modificato dall’entrata in vigore nel 1942 e oggetto di emendamenti aventi per oggetto proposte di revisione che non hanno avuto il dovuto seguito. La vetustà e l’inadeguatezza dell’approccio filosofico-antropologico del Libro I è evidente quando si considera che esso si basa ancora sul “principio concessorio” piuttosto che sul “principio di riconoscimento” (al settore non profit non deve essere più fatta una concessione ma deve essere riconosciuto ciò che è meritorio). Si pensi ancora alla legge del 2008 sull’ “impresa sociale” (l’Italia è attualmente l’unico paese in Europa ad aver introdotto una legge specifica in materia) i cui decreti attuativi non hanno esteso a tale soggetto giuridico i benefici fiscali previsti, tra gli altri, a favore delle onlus e delle cooperative sociali, e che pertanto hanno reso di fatto la legge inapplicabile e la nascita delle imprese sociale scarsa.
Si pensi infine alla legge sul volontariato ancora ferma dove laddove la si è lasciata nell’ormai lontano 1991.
Stefano Zamagni – con la rabbia di indignarsi delle cose negative che ci circondano e il coraggio di impegnarsi a cambiarle, come insegna Sant’Agostino da lui stesso citato in conclusione del suo intervento – ha infine espresso la speranza che siano tempestivamente poste le basi affinchè il Terzo settore possa essere in grado di sprigionare l’effetto propulsivo della cui ampia portata vi è forte convinzione.
Si tratta di un lavoro di ricerca a carattere intersettoriale realizzato da una équipe di economisti, giuristi, dottori commercialisti, sociologi, politologi e protagonisti vari dell’associazionismo, della cooperazione e del volontariato, che riassume gli aspetti salienti del “non profit” italiano negli ultimi cinque anni, esponendone i punti di forza e analizzando la natura degli ostacoli che ne impediscono l’ulteriore evoluzione e crescita.
Si riporta di seguito una sintesi dell’appassionato intervento del prof. Stefano Zamagni, che non ha risparmiato critiche e denunce nei confronti della classe politica, responsabile, a suo dire, di non eseguire quanto potrebbe (e sopratutto dovrebbe) in favore del Terzo settore soffocandone il potenziale e relegandolo a “ruota di scorta” del sistema economico nazionale.
Il settore dell’associazionismo, del volontariato e della cooperazione, si è sviluppato secondo due diversi modelli, il “modello redistributivo” e il “modello produttivo”.
Il modello redistributivo trae origine dall’esperienza “filantropica” anglosassone del ‘700 e si basa sul paradigma della redistribuzione della ricchezza da altrui prodotta a favore dei bisognosi.
Il modello produttivo invece è nato in Italia nel ‘300, quando in Umbria e in Toscana venivano creati i primi ospedali, grazie alle “confraternite” e alle “misericordie”, oltre alle scuole e alle università.
Il modello produttivo, a differenza di quello redistributivo, genera ricchezza piuttosto che redistribuirla, offrendo il valore aggiunto in grado di soddisfare i bisogni della collettività.
A partire dal secondo dopoguerra, in Italia, il modello produttivo viene sostituito dal modello redistributivo, a seguito della nascita del “welfare state”, secondo cui è lo Stato che deve occuparsi dei portatori di bisogni, finanzando ciò attraverso il sistema generale di tassazione.
Secondo Zamagni le conseguenze negative dell’introduzione del welfare state in Italia sono state sostanzialmente due:
– “deresponsabilizzazione” della collettività nei confronti dei soggetti bisognosi – di loro se ne occupa lo Stato e quindi ciascun cittadino si limita a contribuire attraverso il prelievo fiscale;
– “atteggiamento passivo” da parte degli operatori del Terzo settore nei confronti della Pubblica Amministrazione – il Terzo settore ha iniziato a dipendere dallo Stato a livello finanziario.
E’ stata sopratutto la dipendenza finanziaria a creare le serie difficoltà in cui versa il Terzo settore italiano a partire dal 2008, ovvero dall’inizio del periodo di crisi economica globale.
Al fine di superare tali difficoltà e permettere al Terzo settore di svolgere un ruolo strategico nel rilancio dell’economia italiana occorre ritornare al modello produttivo, attraverso:
– la creazione di “alleanze” tra non profit, imprese “for profit” ed Enti locali, in grado di mettere in pratica il principio della “sussidiarietà”, di cui agli artt. 118 e 119 della Costituzione relativi al decentramento delle funzioni amministrative e all’autonomia finanziaria degli Enti locali, nella versione cosidetta “circolare”;
– l’adozione delle necessarie riforme legislative.
Ad avviso di Zamagni, nell’auspicato nuovo modello produttivo il Terzo settore, grazie all’esperienza, alla reputazione, al know how e alla conoscenza dei bisogni radicati sul territorio, potrebbe mettere in moto un circolo virtuoso che lo vedrebbe coinvolto assieme ai privati e alla pubblica amministrazione (“sussidiarietà circolare”).
Occorrerebbe però garantire il mutuo rispetto e la parità dei diritti e doveri per tutti i soggetti protagonisti.
Le istanze e le proposte degli operatori non profit dovrebbero pertanto essere ascoltate, riconosciute e incentivate dagli amministratori locali e non, come accade troppo spesso, “concesse” in virtù dell’autorità ad essi attribuita.
Il privato dovrebbe poter intervenire più agevolmente a sostegno delle attività del Terzo settore (sopratutto in tempi di crisi), senza dover faticare per superare gli odierni ostacoli burocratici.
Sarebbe altrettanto necessario un atto di responsabilità da parte della classe politica dirigente per realizzare in tempi brevi le opportune e richieste modifiche di legge.
Si pensi al Libro I del Codice Civile, unico a non essere mai stato modificato dall’entrata in vigore nel 1942 e oggetto di emendamenti aventi per oggetto proposte di revisione che non hanno avuto il dovuto seguito. La vetustà e l’inadeguatezza dell’approccio filosofico-antropologico del Libro I è evidente quando si considera che esso si basa ancora sul “principio concessorio” piuttosto che sul “principio di riconoscimento” (al settore non profit non deve essere più fatta una concessione ma deve essere riconosciuto ciò che è meritorio). Si pensi ancora alla legge del 2008 sull’ “impresa sociale” (l’Italia è attualmente l’unico paese in Europa ad aver introdotto una legge specifica in materia) i cui decreti attuativi non hanno esteso a tale soggetto giuridico i benefici fiscali previsti, tra gli altri, a favore delle onlus e delle cooperative sociali, e che pertanto hanno reso di fatto la legge inapplicabile e la nascita delle imprese sociale scarsa.
Si pensi infine alla legge sul volontariato ancora ferma dove laddove la si è lasciata nell’ormai lontano 1991.
Stefano Zamagni – con la rabbia di indignarsi delle cose negative che ci circondano e il coraggio di impegnarsi a cambiarle, come insegna Sant’Agostino da lui stesso citato in conclusione del suo intervento – ha infine espresso la speranza che siano tempestivamente poste le basi affinchè il Terzo settore possa essere in grado di sprigionare l’effetto propulsivo della cui ampia portata vi è forte convinzione.
* Maurizio Mottola, Dottore Commercialista e Revisore Legale in Taranto