Modello di riclassificazione o modulo di compilazione?
Se il buongiorno si vede dal mattino (cioè dal titolo “adozione della modulistica” del decreto 5 marzo 2020) allora è meglio tornare a dormire.
Le parole utilizzate a casaccio mi indispongono.
Quando i risultati di un bilancio d’esercizio sono riclassificati e raggruppati secondo determinati criteri, si parla di “modello di riclassificazione” o di “schema di riclassificazione” del bilancio e non di “modulo”.
La “modulistica” (citata nel titolo) si utilizza invece per chiedere l’attivazione di un’utenza telefonica o di un abbonamento a un quotidiano anche se alla parola “modulo” spesso oggi si preferisce il “form” che fa più fico.
Pardon diciamo cool.
A volte si usa un modulo che riporta delle voci del bilancio di esercizio se si deve chiedere un finanziamento bancario.
Ma il documento contabile che gli amministratori redigono e che si presenta all’assemblea degli associati o al consiglio di amministrazione per l’approvazione è un bilancio d’esercizio riclassificato secondo un modello o schema di riclassificazione.
Vale la pena di ricordare che le parole hanno un loro valore semantico e che devono essere utilizzate in modo appropriato.
Per fortuna, all’interno del decreto 5 marzo 2020, pubblicato sulla GU n. 102 del 18/04/2020 serie generale, si parla di “modelli di bilancio” e non si citano più i “moduli”
Da quando decorre l’obbligo e chi deve usare il nuovo schema di riclassificazione?
Gli ETS – Enti del Terzo settore dovranno iniziare a utilizzare il modello di riclassificazione (cfr. articolo 3) a partire dalla redazione del bilancio relativo al primo esercizio finanziario successivo a quello in corso alla data della pubblicazione.
Pertanto il primo bilancio che dovrà essere redatto secondo il nuovo schema sarà quello dell’esercizio 2021 e avverrà nel 2022.
Gli enti che hanno l’esercizio contabile “a cavallo” dell’anno solare devono invece fare particolare attenzione poiché per loro il termine per l’adozione del modello potrebbe essere molto ravvicinato.
Ulteriore attenzione occorrerà prestare poiché anche i dati del 2020 dovranno essere ripresi e riclassificati per poter garantire la comparabilità degli esercizi contabili.
L’adozione dello schema è obbligatoria per tutti gli ETS e non essendo questi enti ancora “esistenti” perché manca il Registro unico nazionale del Terzo settore – Runts, si ritiene che sia applicabile agli enti che entreranno nel Registro e quindi Onlus, OdV e Aps come “riversamento” dei dati contenuti nelle rispettive anagrafi/registri.
Le cooperative sociali e le imprese sociali organizzate in forma di impresa commerciale continueranno invece ad applicare gli schemi di bilancio previsti per le imprese commerciali.
Quali principi contabili applicare?
Nell’allegato 1 – Introduzione, capoverso 8, del decreto che approva il modello di riclassificazione, si legge che sono applicabili gli artt. 2423, 2423-bis e 2426 del codice civile e i principi contabili nazionali in quanto applicabili agli enti senza finalità di lucro.
Nella stesura del testo del decreto, sarebbe stato opportuno considerare anche il principio n. 1 – Quadro sistematico per la preparazione e la rappresentazione del bilancio degli enti non profit, che risale al marzo 2011 e frutto del lavoro congiunto dell’Agenzia per le Onlus, CNDCEC e OIC perché avrebbe permesso di meglio focalizzare gli elementi (i principi) da tenere in considerazione per iniziare l’approccio al bilancio d’esercizio riclassificato.
E sarebbe stato meglio considerare il fatto che nel CTS – Codice del Terzo settore le attività ammesse sono tre.
E’ sufficiente leggere come sono rubricati gli articoli
5 – Attività di interesse generale,
6 – Attività diverse e
7 – Raccolta fondi.
per comprendere come si sarebbe dovuta svolgere la stesura del rendiconto economico e quindi che oneri, costi, proventi e ricavi andavano riferiti alle attività ammesse.
Ma questa è solo un’anticipazione.
Lo Stato Patrimoniale
Le inutili voci previste ma che non saranno mai movimentate
Uno dei postulati del bilancio è il concetto di rilevanza esplicitato nel paragrafo 36 dell’OIC 11 – finalità e postulati del bilancio d’esercizio: si afferma che un’informazione è considerata rilevante quando la sua omissione o errata indicazione potrebbe ragionevolmente influenzare le decisioni prese dai destinatari primari dell’informazione di bilancio sulla base del bilancio della società (ETS in questo caso – n.d.r.). La rilevanza dei singoli elementi che compongono le voci di bilancio è giudicata nel contesto della situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’impresa (ETS – n.d.r.). Il concetto di rilevanza è pervasivo nel processo di formazione del bilancio.
Traduzione: il principio della rilevanza è comune a tutto il bilancio e quindi quando lo si predispone ci si deve sempre chiedere “è rilevante questo dato?”
Ebbene, sulla base di questo concetto risultano totalmente irrilevanti quattri voci dello stato patrimoniale
- A) – quote associative o apporti ancora dovuti.
perché:
- nelle maggior parte delle associazioni gli associati devono versare una quota associativa (che sia una tantum o annuale) per entrare a far parte dell’associazione. Il mancato versamento comporta l’improcedibilità della domanda di ammissione alla compagine associativa;
- se l’associato non versa la quota annuale è considerato moroso e decade dalla qualifica di associato;
- se proprio occorresse inserire i crediti verso i soci per le quote ancora da versare, sarebbe sufficiente evidenziarle tra i crediti.
- nel caso di una fondazione, se nell’atto fondativo non c’è il contestuale versamento in denaro o il conferimento del patrimonio, il notaio rogante non procede alla stesura dell’atto anche perché gli sarebbe rigettato dall’organo che procederebbe al riconoscimento della personalità giuridica;
- lo stesso si dica per il caso di riconoscimento della personalità giuridica ex art. 22 d.lgs. 117/2017
Attivo C.II.11 – crediti per imposte anticipate / Passivo B.2 – Fondi per rischi e oneri per imposte anche differite
Francamente, stante l’attuale assetto normativo fiscale, non si riesce a capire come potrebbero aversi delle imposte anticipate e differite in un ETS.
C.IV.2 – assegni (tra le disponibilità liquide)
Qual è la necessità impellente, ai fini della lettura e della comprensione del bilancio, di enucleare gli assegni depositati in cassa?
E da quanto gli ETS hanno una così alta movimentazione di assegni bancari (in ingresso) tale da rendere necessaria la loro evidenza nell’attivo circolante?
Tra l’altro gli assegni bancari sono titoli di credito che devono essere immediatamente messi all’incasso per evitare che spiri il termine per l’elevazione del protesto…
Qualcosa deve essermi evidentemente sfuggito ma credo che la voce resterà inutilizzata dalla maggioranza degli ETS, al pari delle quote associative e degli apporti ancora dovuti.
Per quanti bilanci di Onlus io abbia esaminato in questi anni, non ho mai visto una sola volta movimentate queste voci.
E le inutili voci che potenzialmente potrebbero non esserlo mai
Suscita non poche perplessità una riclassificazione
- delle immobilizzazioni finanziarie (B.III.1 e B.III.2)
- delle attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni, (C.II.7 e C.II.8)
- dei debiti (D.8 del passivo)
verso imprese controllate e collegate e altre imprese.
La domanda che pongo è: può/potrà un ETS possedere in futuro, stabilmente e senza che l’Agenzia delle entrate abbia nulla in contrario, possedere partecipazioni in imprese tali da garantirne il controllo o il collegamento?
Al tempo delle Onlus (cioè dal 1998 ad oggi) l’Agenzia delle entrate ha sempre visto come il fumo negli occhi il possesso di partecipazioni che non fossero solo di mero godimento degli utili/dividendi, non potendo la Onlus esercitare attività commerciali nemmeno per interposizione di un altro soggetto.
E’ chiaro che il possesso di partecipazioni, in misura tale da garantire un collegamento o un controllo della partecipata, presuppone anche l’esercizio di fatto dell’impresa, potendo influire in modo pregnante nelle decisioni assembleari e del consiglio di amministrazione.
Evidentemente il cambiamento di paradigma sembra preludere ad una maggiore dinamicità degli ETS ma che, a parere di chi scrive, difficilmente si riuscirà a vedere, potendo infatti generare comportamenti potenzialmente elusivi dal punto di vista fiscale.
Vedremo come evolverà la materia.
Le voci che avrebbero bisogno dell’ascensore
La voce B.I.6 – immobilizzazioni in corso e acconti avrebbe bisogno di prendere l’ascensore per scendere di una posizione, facendo risalire al suo posto la B.I.7 – altre (immobilizzazioni immateriali).
In pratica uno scambio di posizioni, uno swap, più che un ascensore.
Si tenga presente che la voce “altre immobilizzazioni immateriali” negli enti non profit spesso accoglie costi di natura pluriennale sostenuti per manutenzioni straordinarie eseguite su beni non di proprietà quali gli immobili in locazione o in comodato.
Importi certamente significativi.
Le voci che sono state dimenticate
Le erogazioni liberali con vincolo
Non risultano presenti all’appello quelle voci che andrebbero classificate nell’attivo circolante (C.III dell’attivo) e tra i Debiti (D del passivo) utili ad identificare lo svolgimento di operazioni di raccolta fondi come terzo necessario nel perfezionamento di un processo donativo.
Giuridicamente l’ente che effettua la raccolta è un mandatario necessario all’adempimento.
Semplificando: la raccolta fondi “in nome e per conto di…”
Spesso avviene durante calamità pubbliche.
In questi casi i fondi non appartengono all’ente “collettore” e costituiscono un debito nei confronti del destinatario finale.
Occorrerebbe pertanto enucleare una voce che evidenzi la consistenza del rapporto bancario alla data di chiusura del bilancio tra le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni poiché, pur indicando dei saldi di conto corrente bancario o postale, non sono ascrivibili alle disponibilità liquide essendo risorse non disponibili.
Utilizzare, come è stato fatto, il termine “D.5 – debiti per erogazioni liberali condizionate” non è corretto poiché la condizione è un elemento che deve risultare da un contratto e che determina specifici effetti giuridici.
Il codice civile prevede la donazione condizionata negli artt. 791 e 792. Tuttavia può essere una donazione (non “erogazione liberale”) condizionata quella donazione in cui sia prevista la restituzione del bene al verificarsi di un determinato evento, anche se le parti non sono persone fisiche.
Sull’argomento si veda la sentenza della Corte di cassazione, SS.UU. Civili n. 5702/2012 depositata l’11/04/2012.
Sarebbe perciò più corretto utilizzare la descrizione più generica “debiti per erogazioni liberali con vincolo”.
Beni ricevuti in donazione costituenti immobilizzazioni
Quando un ente non profit riceve in donazione beni che sono impiegati durevolmente dall’ente e quindi costituiscono immobilizzazioni, secondo una tecnica contabile, detti beni entrano nello stato patrimoniale e trovano la contropartita nell’appostazione di un valore uguale in una riserva dalla quale, negli esercizi successivi, si vanno ad attingere importi pari all’ammortamento effettuato, a evidenziare la partecipazione dei beni all’attività dell’ente.
Il Rendiconto gestionale
Pleonasmi e voci inserite in sezioni inappropriate
Soffermiamoci sulla tassonomia.
Perché utilizzare “oneri e costi” e “proventi e ricavi”?
Si tratta di pleonasmi: un onere è un costo (e viceversa) e un ricavo è provento (e viceversa).
Legare i costi e i ricavi alle attività di natura commerciale e gli oneri e i proventi a quelle che non lo sono lascia un po’ il tempo che trova, posto che il vocabolario li indica come sinonimi.
Passando dallo stato patrimoniale al rendiconto gestionale notiamo che, dalla forma scalare del primo, si passa alla forma a sezioni contrapposte del secondo che non permette al lettore di trarre immediatamente i risultati lordi delle attività svolte.
Personalmente non amo la forma a sezioni contrapposte: non consente di evidenziare e percepire rapidamente i risultati derivanti da ciascuna delle tre attività (interesse generale, diverse e raccolta fondi) svolte dagli ETS.
Sorvolando sui gusti personali, appare incomprensibile il voler inserire, nella sezione relativa all’attività di interesse generale (A), le erogazioni liberali (ricavi – A.4) e i proventi da 5 per mille (ricavi – A.5): entrambe le voci costituiscono (per natura appunto) proventi che ineriscono, senza ombra di dubbio, all’attività di raccolta fondi (C).
Le perplessità sono oggetto peraltro di un intervento assai duro del collega Carlo Mazzini che spiega in modo efficace questo concetto.
L’attività di raccolta fondi
Gli oneri e proventi derivanti dall’attività di raccolta fondi sono suddivisi tra operazioni abituali e occasionali.
Tutto bello… ma qual è il criterio che occorre seguire per classificare un’operazione di raccolta fondi abituale o una occasionale? E’ abituale l’insieme delle operazioni di raccolta (cioè abitualmente svolgo attività di raccolta fondi) oppure verifico se la particolare campagna viene ripetuta a distanza di tempo?
Una suddivisione che francamente non convince poiché non aggiunge nulla alla rilevanza dei dati.
Sarebbe più significativo operare una suddivisione degli oneri per la raccolta fondi secondo la loro natura.
Il prospetto dei costi e dei proventi figurativi
Entrano nel bilancio degli ETS anche i costi e i proventi figurativi relativi alle attività di interesse generale e diverse.
Per certi versi si dovrebbe dire “finalmente”, soprattutto per quanto riguarda il lavoro volontario, elemento che non veniva preso in considerazione in precedenza.
Ma quali sono gli elementi che entrano in questo prospetto?
Occorre sfogliare l’allegato modello C che riporta il contenuto della relazione sulla missione, un documento che, per la sua funzione e struttura, si sarebbe dovuto chiamare nota integrativa visto che l’universo contabile lo conosce con quel nome, mentre la relazione sulla missione è un documento riservato all’universo della rendicontazione sociale.
L’Agenzia per le Onlus/Agenzia per il Terzo settore aveva definito la relazione di missione come un documento diverso dalla nota integrativa capace di integrare gli altri documenti di bilancio per garantire un’adeguata rendicontazione sull’operato dell’ente e sui risultati ottenuti, con una informativa centrata sul perseguimento della missione istituzionale.
Perciò d’ora in poi si dovrà contestualizzare il concetto di “relazione di missione”: nell’ambito degli ETS il concetto significherà “nota integrativa più rendicontazione sociale”.
Nel punto 22 del modello C sono indicati i dati che devono essere riportati nel prospetto.
Si tratta:
- dei costi figurativi relativi all’impiego di volontari iscritti nel registro di cui all’art. 17, comma 1 d.lgs. 117/2017: si tratta perciò di valorizzare l’apporto del lavoro volontario valutandolo al costo che si sarebbe dovuto sostenere per ottenere lo stesso apporto utilizzando risorse paritetiche reperite a titolo oneroso sul mercato del lavoro. Attenzione però: non facciamoci prendere la mano e inseriamo dati alla spera in Dio. Se vogliamo fare le cose per bene, occorre che il lavoro volontario sia monitorato secondo un sistema affidabile di rilevazione dello stesso.
- delle erogazioni gratuite di denaro e le cessioni o erogazioni gratuite di beni o servizi, per il loro valore normale: si tratta di un madornale errore terminologico. Definire una donazione (grande o piccola) una “erogazione gratuita di denaro” è un errore grossolano.
La prima cosa che può venire in mente è che se esistono delle “erogazioni gratuite” di denaro, di beni o di servizi, significa che dovrebbero essercene altre “a pagamento” (un mutuo? mah!), il che non sussiste.
Andando ad analizzare meglio l’espressione, dal punto di vista giuridico, si giunge alla conclusione che l’espressione “erogazione liberale” di qualcosa è del tutto diversa dalla “erogazione gratuita” della stessa cosa.
La liberalità è infatti un negozio il cui substrato è l’animus donandi cioè il libero convincimento del donatore di spogliarsi di parte del proprio patrimonio, spinto da motivazioni di equità sociale, affettive, religiose ecc., per arricchire il donatario senza riceverne alcunché in cambio.
Nei negozi gratuiti invece chi attribuisce gratuitamente le stesse utilità, può essere mosso da un interesse patrimoniale da attuarsi anche in via indiretta. - della differenza tra il valore normale dei beni o servizi acquistati ai fini dello svolgimento dell’attività statutaria e il loro costo effettivo di acquisto: si tratta di reperire dati che non sono facilmente reperibili, stante il fatto che, se tutto va bene (perché la pratica quotidiana non sempre corrisponde alla teoria), il donatore dei beni, in base al d.m. 28/11/2019, emetterà una fattura valorizzando:
i beni merce al minore tra il valore normale dei beni e quello utilizzato per la valorizzazione delle rimanenze;
i beni strumentali al valore residuo da ammortizzare, fiscalmente riconosciuto.
Un po’ più semplice sarà la valutazione dei prodotti alimentari e quelli farmaceutici ritirati dal circuito commerciale perché prossimi alla scadenza o per difetti perché, secondo la legge 166/2016 la loro valutazione avviene al prezzo di vendita.
È un’ulteriore complicazione che si aggiunge a quella prevista dalle norme IVA che scoraggiano sempre più le erogazioni liberali in natura.
Il rendiconto per cassa
L’utilizzo del rendiconto per cassa, come documento di sintesi per gli ETS non commerciali con proventi inferiori a 220 mila euro/anno, potrebbe essere (cfr. art. 87, comma 3) l’alternativa alla tenuta delle scritture contabili cronologiche e sistematiche (libro giornale e mastro) le cui risultanze confluiscono nel bilancio d’esercizio riclassificato con tutte le sue componenti.
E’ parere di chi scrive che sia necessario tenere un minimo di scritture contabili tali che sia più agevole riepilogarne i risultati nel rendiconto.
Ma per questo, ci sono i fogli di calcolo e altri applicativi.
Si tenga presente che il rendiconto per cassa comunque necessita di un criterio di redazione secondo competenza finanziaria, perché se si tenesse conto del puro criterio di cassa, si potrebbero ottenere risultati non veritieri: basterebbe anticipare o posticipare alcuni pagamenti o riscossioni intorno alla chiusura dell’esercizio.
Aggiungiamo che, in base a quanto riportato nell’allegato 1 – introduzione, paragrafo 5, i criteri per la determinazione della soglia sono eterogenei poiché se si proviene dal regime ordinario (cioè bilancio completo) si usa il principio di competenza economica, ma se si proviene dal regime semplificato (cioè rendiconto per cassa) allora si usa il principio di cassa, escludendo i disinvestimenti di immobilizzazioni, con il che si ritorna a quanto già detto nel capoverso precedente.
Last but not least: per come oggi è scritta la norma se nel 2020 si oltrepassa il limite di 220.000 euro, già dal 1° gennaio 2021 si dovrebbe partire con un sistema di scritture contabili basato sul libro giornale e libro mastro e principio di competenza economica.
Senza contare il fatto che, in occasione della predisposizione del bilancio del 2021, si dovrebbe riprendere la contabilità del 2020 (per cassa), ricostruirla secondo il principio di competenza economica, per andare a costituire l’esercizio comparato.
Conclusioni
Si tratta di uno schema obbligatorio al quale non si può derogare se non per fondati motivi da inserire nella nota integrativa… pardon… nella relazione di missione.
Inutile dire che c’era tutto il tempo per scriverla meglio.
Perciò perché parlarne?
È stata scritta così e si dovrà utilizzare così.
Tra qualche anno, forse, qualcuno partirà, lancia in resta, con un altro bel progetto di riforma.
Giù il gettone, nuovo giro, nuova corsa.