Secondo l’Agenzia delle Entrate le operazioni di cause related marketing possono far perdere la natura di O.n.l.u.s.. La risoluzione del 16/02/2006 n. 30/E forse apre uno spiraglio.
Nel 2002 un’impresa aveva sottoposto all’Agenzia delle Entrate un’istanza di interpello chiedendo come potessero essere classificati i costi relativi ad una campagna di cause related marketing (c.r.m.) nella quale l’impresa commercializza un prodotto o promuove il proprio marchio, destinando parte del ricavato o una somma di denaro ad una O.n.l.u.s. affinché questa la finalizzi ad un particolare progetto. Alla O.n.l.u.s. viene chiesto in contropartita la concessione dell’uso del proprio marchio.
Il pubblico in questo modo associa il prodotto commercializzato o il nome dell’impresa al sostegno della mission della O.n.l.u.s. ed è perciò più disposto ad acquistare i prodotti dell’impresa.
Come si vedrà oltre, in questa situazione il termine “marchio”, riferito alla O.n.l.u.s., è in realtà improprio: si tratta di una forzatura utilizzata al solo scopo di far comprendere “l’oggetto” in questione.
L’Agenzia delle Entrate ha risposto con la risoluzione 14/11/2002 n. 356/E ed ha classificato come fiscalmente rilevanti (e quindi integralmente deducibili) le somme versate dall’impresa alla O.n.l.u.s. in quanto inerenti all’attività imprenditoriale.
La soluzione è certamente condivisibile visto che l’operazione di c.r.m. non sarebbe possibile senza il versamento di tali somme.
Dall’altra parte però l’Agenzia delle Entrate sostiene che lo schema contrattuale proposto configura una sponsorizzazione.e quindi un’operazione fiscalmente di tipo commerciale.
La conclusione a cui è pervenuta l’Agenzia, a parere di chi scrive, in realtà non è corretta, visto che lo schema contrattuale della sponsorizzazione è ben diverso: prevede infatti che lo sponsor (generalmente un’impresa) paghi una determinata somma a fronte di un’attività svolta dallo sponsee (spesso un entità sportiva) volta ad evidenziare il marchio dello sponsor durante manifestazioni dove vi sono numerosi contatti con il pubblico (eventi sportivi, concerti, trasmissioni televisive ecc.).
Lo sponsee in questo caso pone in essere certamente un’attività commerciale in quanto pubblicizza il nome o il prodotto dello sponsor.
Ma nel contesto configurato nell’istanza di interpello e che ha generato la risoluzione n. 356/E del 2002, non sembrano rinvenirsi le caratteristiche della sponsorizzazione: qui infatti l’attività pubblicitaria e, in generale, gli eventi mediatici sono organizzati dall’impresa (o da un soggetto che agisce in outsourcing) che non chiede alla O.n.l.u.s. un’attività specifica.
La O.n.l.u.s. è la semplice destinataria di fondi che le pervengono a fronte della concessione ad utilizzare il proprio nome durante gli eventi, ripetiamo, organizzati dall’impresa. Non v’è dubbio perciò che il suo ruolo sia diametralmente opposto rispetto a quello dello sponsee.
D’altra parte però non si può parlare di “marchio” della O.n.l.u.s. in quanto esso è un segno distintivo dell’azienda, concetto poi esplicitato nel d.lgs. 10/02/2005 n. 30 che, nel definire i segni suscettibili di essere registrati presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, chiarisce che “possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa(…)” tutti i segni suscettibili di essere rappresentati graficamente “purchè siano atti a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese”. E’ perciò evidente che mancando il substrato imprenditoriale è quantomeno problematico parlare di marchio.
Questo concetto viene ripreso dalla risoluzione del 16/02/2006 n. 30/E attraverso in cui si va a definire la natura del reddito derivante dalla concessione di un nome di uno studio professionale. Nella soluzione dell’interpello, l’Agenzia delle Entrate afferma proprio il fatto che, ove manchi un’impresa, i proventi derivanti dall’uso del nome, devono essere considerati redditi diversi relativi ad “obbligazioni di permettere”.
Dal punto di vista fiscale potremmo perciò essere in presenza di un marchio, qualora l’ente non profit (non necessariamente O.n.l.u.s.), nello svolgimento di un’attività imprenditoriale, inserisse tale bene all’interno dell’inventario dei beni relativi all’impresa, nel qual caso però il relativo provento sarebbe attratto nell’ambito del reddito di impresa.
Per quanto attiene poi al caso in questione, procedere ad una distinzione tra “marchio” e semplice “nome” in realtà è solo utile al solo fine di qualificare correttamente il corrispettivo che perviene alla O.n.l.u.s. in funzione della concessione all’utilizzo: fermo restando che si tratta di un provento da inserire tra i “redditi diversi”, esso è da considerare nell’art. 67, comma 1, lettera l) T.u.i.r..
Questo significa che il provento non deriva né da un’attività istituzionale (ex art. 10 d.lgs. 460/97), né da una direttamente connessa, né tantomeno dall’esercizio di un’attività di impresa.
L’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione 14/11/2002 n. 356/E è corretta nella parte in cui riconosce la deducibilità dell’onere sostenuto dall’impresa, ma certamente non lo è per la parte relativa alla O.n.l.u.s. nella quale si arriva alla conclusione che l’ente perderebbe la sua qualifica e quindi i benefici fiscali ad essa connessi.
Se si assumesse per corretta questa interpretazione, potremmo arrivare a concludere che una O.n.l.u.s. di diritto, come una organizzazione non governativa riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri, potrebbe non tenere conto del parere dell’Agenzia delle Entrate, in quanto per questo tipo di organizzazioni, la qualifica di O.n.l.u.s. non dipende dai pareri delle Direzione Regionali dell’Agenzia delle Entrate, ma discende ex-lege per il semplice fatto che è una O.n.g..
Ma allora perché mai operazioni identiche, poste in essere da soggetti diversi, dovrebbero subire trattamenti fiscali differenti? La stortura appare in tutta la sua evidenza.
L’operazione dovrebbe essere trattata fiscalmente (e più correttamente) in questo modo:
· per l’impresa, deducibilità del compenso pagato alla O.n.l.u.s. per evidente correlazione tra il costo sostenuto e i ricavi che deriveranno dall’operazione di c.r.m.;
· per la O.n.l.u.s., imponibilità del compenso, come reddito diverso e quindi soggetto ad I.Re.S. piena, senza alcuna agevolazione, secondo le regole generali previste dal T.u.i.r. per gli enti non commerciali.
Questa interpretazione trova il suo ulteriore fondamento nel fatto che le disposizioni agevolative previste per le O.n.l.u.s. trovano un contrappeso nel rigido sistema autorizzativo previsto dal d.lgs. 460/97, nel timore del legislatore di introdurre misure che andassero a turbare la libera concorrenza del mercato. A ben vedere però, in situazioni come quella rappresentata, non vi è turbativa della libera concorrenza in quanto la O.n.l.u.s. non svolge alcuna attività ma l’operazione posta in essere è solo un mezzo per raccogliere fondi da destinare alla propria attività.