Al fine di agevolare la raccolta fondi da parte dei sodalizi sportivi che operano nei settori dilettantistici, l'articolo 90, comma 8, Legge 289/2002 ha stabilito che i corrispettivi in denaro o in natura erogati da titolari di reddito di impresa a favore di associazioni e società sportive dilettantistiche, di importo complessivamente non superiore a euro 200mila annui, rappresentano, per coloro che li erogano, spese di pubblicità (per presunzione assoluta) fiscalmente deducibili (ex articolo 108, comma 2, TUIR) se finalizzate alla promozione della propria immagine o prodotti, tramite una specifica ed effettivamente riscontrabile attività posta in essere da parte dei beneficiari.
La norma appare chiara e inequivocabile (non altrettanto si può dire della formulazione adottata dall'Agenzia delle Entrate per spiegarne il disposto e contenuta nella guida intitolata "Le agevolazioni fiscali a favore dell'attività sportiva dilettantistica", come meglio descritto nell'articolo I contributi ai sodalizi sportivi, deducibilità sempre e comunque? presente in questa newsletter), per cui l'imprenditore che investe nello sport dilettantistico, attraverso modalità tracciabili e dietro regolare fatturazione, e a fronte delle spese sostenute riceve effettive, congrue e coerenti attività promozionali, ha diritto al beneficio fiscale.
Non esistono, nel testo della norma e nei documenti di prassi (circolare ministeriale n. 21/E del 22.04.2003), ulteriori condizioni richieste come necessarie al fine di godere delle agevolazioni descritte.
Tuttavia pur quando la trasparenza e l'effettività dell'operazione commerciale non possono essere messe in dubbio, sovente l'Amministrazione Finanziaria conduce contestazioni, in merito alla deducibilità delle spese di sponsorizzazione, sulla base della semplice presunzione di antieconomicità delle stesse.
Secondo l'Agenzia delle Entrate le spese di sponsorizzazione difettano del requisito dell'inerenza (ex art. 109 TUIR) e quindi non sono deducibili fiscalmente quando è riscontrabile il carattere antieconomico delle spese.
Per antieconomico si vorrebbe intendere:
- un investimento al quale non sono riconducibili coerenti incrementi nel volume dei ricavi:
- una spesa per attività promozionale condotta in ambito ristretto e quindi indirizzata a un bacino di utenti potenziali di scarsa entità;
- una spesa per attività promozionale condotta in un ambito territoriale non appartenente a quello tipico e del tutto slegato da questo.
Premesso che è lecito innanzitutto interrogarsi sulla legittimità di contestazioni condotte solo sulla base di presunzioni semplici, non si ritiene condivisibile l'atteggiamento dell'Amministrazione finanziaria quando, nel corso delle attività di accertamento, entra nel merito di libere scelte economiche, costituzionalmente protette (ex art. 54 Costituzione) e per natura rischiose.
Se l'imprenditore e il sodalizio sportivo hanno operato in maniera irreprensibile, adottando le tariffe di settore, emettendo regolare fattura, tracciando i flussi finanziari, si può perseguire il mancato successo dell'investimento?
L'imprenditore che ha sbagliato investimento e che ha registrato il mancato ritorno in termini di utilità (immagine o ricavi) può essere condannato a perdere anche il beneficio fiscale goduto?
A parere di chi scrive, le riposte a tali quesiti sono entrambe negative e dello stesso avviso è la CTP di Mantova, come si evince dalla lettura del testo di due sentenze "gemelle" depositate nel giro di pochi mesi l'una dall'altra.
La più recente è la sentenza n. 191/2013 pronunciata in data 10.10.2013 e depositata in data 14.10.2013
Nel ricorso introdotto dinanzi alla Commissione, il contribuente si opponeva agli avvisi di accertamento emessi dall'Agenzia delle Entrate, contestando nel merito il mancato riconoscimento della deducibilità delle spese di sponsorizzazione sostenute a favore di una associazione sportiva dilettantistica.
In particolare, il ricorrente si opponeva al presunto difetto di inerenza delle spese, avanzato dall'Agenzia sulla base del fatto che, a fronte delle spese sostenute, non si registrava un aumento significativo dei ricavi in quanto le iniziative pubblicitarie erano dirette ad un esiguo pubblico di partecipanti/spettatori agli eventi sportivi aventi come protagonista il soggetto sponsorizzato.
In altri termini, l'impresa avrebbe dovuto considerare non economicamente giustificabili tali spese, in considerazione del ristretto bacino di potenziali clienti raggiungibili attraverso iniziative pubblicitarie aventi ad oggetto eventi sportivi poco seguiti.
La Commissione accoglieva il ricorso del contribuente e annullava gli avvisi di accertamento sostenendo che:
- sulla base della documentazione prodotta in giudizio le spese sostenute sono di natura certa;
- in base all'ammontare complessivo le spese sono configurabili come spese di pubblicità per presunzione assoluta (ex articolo 90, comma 8, Legge 289/2002);
- le spese sostenute sono inerenti all'attività di impresa svolta dal ricorrente (ex articolo 109 TUIR), in quanto dirette a fornire alla stessa una utilità anche di tipo indiretto, ovvero in termini di immagine, e non necessariamente solo in termini diretti, ossia di ricavi;
- l'attività promozionale non è diretta solo al ristretto pubblico presente agli eventi sportivi, dovendo essere considerata anche la più ampia platea di soggetti raggiungibili mediante gli organi di stampa sportiva locale che si occupano di tali eventi;
- non si può giudicare ex post un investimento, definendolo antieconomico a causa del mancato raggiungimento di risultati positivi e coerenti.
La Commissione era giunta alle stesse conclusioni con il disposto della sentenza n. 114/2013 emessa in data 11.04.2013 e depositata in data 30.04.2013.
Siamo difronte alla stessa fattispecie precedentemente descritta, in quanto le spese sostenute sono reali, il soggetto erogante è una impresa commerciale, il soggetto beneficiario è un sodalizio che opera nel settore sportivo dilettantistico.
Secondo la Commissione:
- la natura e l'ammontare complessivo delle spese è tale da determinarne la piena deducibilità;
- i costi sostenuti sono inerenti l'attività di impresa svolta dal ricorrente;
- le spese non possono essere giudicate antieconomiche sulla base di valutazioni condotte a posteriori.
Siamo ben coscienti del fatto che sovente nel mondo sportivo, dietro la regolarità formale di facciata, si celano comportamenti evasivi o elusivi, condotti mediante una interpretazione maliziosa e parziale delle norme o abusando del disposto delle stesse.
Per tale motivo è lungi da noi criticare le attività di accertamento e contrasto in cui è impegnata l'Amministrazione finanziaria, perchè siamo convinti che queste siano finalizzate a punire chi non rispetta le regole e a tutelare i soggetti meritevoli.
Non possiamo però non esprimere perplessità sulla ragionevolezza di taluni accertamenti fondati esclusivamente su una semplice presunzione: l'impresa ha sostenuto una spesa ecessiva per la sponsorizzazione di eventi sportivi dilettantistici, atteso il prevedibile scarso ritorno in termini economici della pubblicità rivolta ad un pubblico esiguo.
A maggiore ragione quando un organo giudiziario competente in materia ha avuto già modo di esprimersi chiaramente in merito ad una fattispecie del tutto identica.