Con la sentenza 14.10.2003 n.15321 che si segnala, la Suprema Corte – confermando la decisione dei primi due gradi di giudizio – si è pronunciata sulla responsabilità dell’insegnante ai sensi dell’art.2048 c.c., per i danni sofferti da un allievo durante una partita di pallamano, che si svolgeva nell’ora di educazione fisica, tra due squadre formate da alunni appartenenti a due diverse sezioni della terza classe. Era avvenuto, infatti, che l’allievo fosse caduto durante la partita di pallamano a causa della spinta che un altro giocatore gli aveva dato. Escludendo la responsabilità dell’insegnante, il tribunale aveva ritenuto che “Il danno si era dunque prodotto in conseguenza di un’azione di giuoco nel corso di una gara sportiva e il fatto che lo aveva provocato non poteva essere considerato illecito, poiché rientrava nell’ambito di quelli che possono accadere in un incontro sportivo di questo tipo; d’altra parte neppure si poteva considerare provato che a far cadere il ragazzo fosse stata l’azione scorretta di un avversario e non quella per avventura accidentale di un compagno.”
Il tribunale aggiungeva come considerazione finale, che, “in ogni caso, l’attore, per imputare al Ministero la responsabilità del fatto, avrebbe dovuto provare una colpa dell’insegnante per negligente vigilanza, cosa che era rimasta invece totalmente indimostrata.”
La decisione, confermata dalla Corte d’Appello di Milano con sentenza 22.6.1999, veniva poi impugnata in Cassazione la quale osservava come di seguito: “… (omissis)
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – La Corte d’Appello, nella sentenza impugnata, ha svolto queste considerazioni.
L’attore aveva inteso imputare alla amministrazione scolastica la forma di responsabilità configurata dall’art. 2048 c. c. .
Questa non configura una responsabilità oggettiva né per gli allievi né per i precettori.
Presuppone bensì che gli allievi cagionino un danno ad altri con una loro condotta colposa o dolosa, mentre sono affidati alla vigilanza di un precettore, e imputano al precettore la relativa responsabilità se non prova di non aver potuto impedire il fatto.
E’ quindi onere di chi ha subito il danno indicare e provare da quale concreto comportamento dell’allievo gli sia derivato il danno di cui domanda il risarcimento.
Il tribunale aveva ritenuto che questa prova non era stata data.
Il ragionamento svolto dal tribunale a proposito di quando si può configurare un illecito nel comportamento tenuto nel corso di gare sportive e le affermazioni conclusivamente proposte dai primi giudici non potevano che essere intese come ponderato e più che condivisibile rilievo della inidoneità della prova offerta, a fornire la dimostrazione che, nel contesto agonistico in cui il danno si era verificato, si fosse avuta una condotta illecita di un qualche altro allievo impegnato nella partita.
L’appellante aveva espresso dubbi circa la possibilità di applicare i principi sull’attività sportiva ad una gara svolta in ambito scolastico tra ragazzi dell’età di quegli studenti, ma non aveva poi svolto una reale critica dei risultati cui il tribunale era approdato nella valutazione del caso concreto.
Peraltro, se non è possibile equiparare la partita di pallamano disputata durante l’orario scolastico ad una vera e propria gara sportiva, da ciò non può conseguire la conclusione che sia impossibile applicare ad un caso di questo tipo il criterio di discrimine tra lecito ed illecito individuato con riferimento alla pratica dello sport agonistico.
Da un lato il tipo di attività praticata in occasione del fatto rientra espressamente nel novero di quelle previste dal programma di educazione fisica delle scuole medie inferiori e deve intendersi per implicito consentito dai genitori degli alunni che non abbiano manifestato un esplicito dissenso in proposito; dall’altro lo svolgimento di una partita tra squadre contrapposte, nonostante lo scopo didattico e il livello dilettantistico è pur sempre esplicazione di attività sportiva, i cui accadimenti possono essere adeguatamente valutati solo in relazione a criteri e parametri specifici.
La Corte d’Appello si è soffermata su un ultimo punto.
Ha osservato che in appello l’attore aveva inteso far ricadere sull’amministrazione scolastica una colpa data da una mancata adeguata vigilanza sullo stesso ragazzo rimasto infortunato, ma ha detto che si trattava di una nuova domanda, che in appello non era ammissibile.
2. – Il ricorso contiene quattro motivi.
L’ultimo riguarda il capo relativo alla domanda che la Corte d’Appello non ha esaminato nel merito per averla ritenuta nuova.
2.1. – La cassazione della sentenza, col primo motivo, è chiesta per il vizio di violazione di norme diritto (art. 360 n. 3 c. p.c., in relazione agli artt. 2048 e 2697 c. c.).
In sintesi, la tesi che vi è svolta è questa.
Il danneggiato non deve provare l’illiceità del fatto altrui deve provare che gli ha causato un danno: spetta al giudice, considerate le prove acquisite al processo, valutare se la condotta del terzo ha presentato o no i tratti del fatto illecito.
Provando che era caduto per la spinta datagli da altri studenti che giocavano con lui l’attore aveva assolto all’onere della prova.
2.2. – Il secondo è ancora un motivo di violazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c. p.c., in relazione agli artt. 2048 e 2697 c. c.).
La tesi che vi si svolge è questa.
La prova liberatoria posta dall’art. 2048 c. c. a carico dell’insegnante non si può ritenere raggiunta in base alla sola dimostrazione di non essere stati in grado di spiegare un intervento correttivo o repressivo dopo l’inizio della serie causale che è sfociata nel danno; richiede anche la dimostrazione di aver adottato, in via preventiva, le misure organizzative idonee ad evitare una situazione di pericolo favorevole all’insorgere della serie causale.
Se, in base al primo motivo, si considera che la sentenza è viziata per non aver considerato assolta la prova del fatto illecito, la sentenza deve essere cassata anche per la ragione, che l’amministrazione scolastica non ha neppure inteso fornire la prova di avere predisposto le misure necessarie ad evitare il danno.
2.3. – Anche il terzo motivo denunzia un vizio di violazione di norme di diritto (art. 360 n. 3 c. c., in relazione all’art. 50 c. p. ed ai principi in tema di illecito sportivo).
Il ricorrente osserva che la Corte d’Appello, in primo luogo, ha errato nel ritenere applicabile la scriminante del consenso dell’avente diritto.
Questo perché il carattere didattico della disciplina della educazione fisica ne rende obbligatorio lo svolgimento nelle scuole: non si può quindi parlare di un consenso esplicito od implicito a che lo studente venga impegnato in gare sportive, ma d’altra parte il consenso non ha efficacia scriminante rispetto a lesioni da cui può derivare, come nel caso, una diminuzione permanente della integrità fisica.
Svolge anche un ulteriore ordine di considerazioni.
La Corte d’Appello non ha compiuto alcuna concreta valutazione del fatto alla luce dei principi inerenti alla scriminante dell’attività sportiva, che ha detto di voler applicare.
Peraltro, tale scriminante presuppone un libero consenso del partecipante alla competizione ed una corretta valutazione del rischio cui egli si espone.
Non si possono quindi ritenere giustificate quelle condotte in cui il consenso non si formi liberamente, perché c’è un vincolo di subordinazione tra chi consente ed un’autorità, ovvero quando il consenziente ripone la sua fiducia nella idoneità e capacità di chi organizza la gara.
In questi casi il consenziente non si rappresenta pienamente il pericolo e non assume il rischio, poiché il consenso sorge sul presupposto che tali persone valutino, con la dovuta esperienza, l’effettivo grado di pericolosità e non superino i limiti di sicurezza.
2.4. – Il quarto motivo, infine, prospetta l’esistenza di vizi di violazione di norme sul procedimento e di difetto di motivazione (art. 360 n. 4 e 5 c. p.c., in relazione all’art. 345 dello stesso codice).
Il ricorrente osserva che nell’ambito di applicazione dell’art. 2048 c. c. rientra anche il caso che l’allievo si faccia male da solo perché il precettore non l’ha adeguatamente vigilato e lamenta che la Corte d’Appello abbia considerato nuova questa sua prospettazione della responsabilità della scuola.
3. – I quattro motivi si possono esaminare insieme.
Non sono fondati.
Queste in sintesi le ragioni.
4. – La vicenda propone in primo luogo il problema dei tipi di responsabilità che si possono configurare in un caso del genere.
La scuola, che nei suoi programmi di educazione fisica include la pratica sportiva e lo svolgimento di gare tra contrapposte squadre di studenti, nel caso in cui uno studente si faccia male nel corso della partita, può andare incontro a responsabilità contrattuale o a responsabilità da fatto illecito.
Queste forme di responsabilità presuppongono la colpa della scuola, salve le diversità che si presentano nei due casi a proposito della distribuzione dell’onere della prova.
Esemplificando, il danno si può considerare imputabile a colpa della scuola, se non cura di assicurare che la gara si tenga su un adatto campo di giuoco; che gli studenti siano precedentemente istruiti sulle regole da osservare e sul dovere di tenere un comportamento in primo luogo leale, quale si confà ad un’attività prevalentemente ginnica e non agonistica; che i contendenti siano provvisti dell’abbigliamento e di quanto serve ad evitare che derivi loro un danno fisico dagli incidenti che più frequentemente si verificano in tali gare; che la partita si svolga in presenza di un insegnante, che sappia e sia posto in condizioni non solo di arbitrarla, ma di controllare e dissuadere da comportamenti troppo esuberanti o cattivi.
Per contro, se pure anche in occasione di gare tra studenti si possono verificare degli incidenti, non è possibile considerare questo tipo di programma di educazione fisica alla stregua di una attività caratterizzata dal pericolo di danni alla persona e che perciò richiami il diverso tipo di responsabilità previsto dall’art. 2050 c. c. .
Alla scuola non si può invece imputare, per il fatto di avere incluso nel programma di educazione fisica e fatto svolgere tra gli studenti una gara sportiva, la responsabilità prevista dall’art. 2048 c. c. .
Questa non copre il danno che lo studente provoca a sé stesso, (Sez. Un. 27 giugno 2002 n. 9346).
Richiede che il danno sia conseguenza del fatto illecito di un altro, quindi che lo studente lo abbia subito perché fatto segno di una azione colposa di altro studente impegnato nella partita, avversario o compagno non importa, ed ulteriormente richiede che la scuola non abbia predisposto le misure atte a consentire che l’insegnante sotto la cui guida il gioco si svolge sia stato in grado di evitare il fatto.
Condizioni di applicabilità della norma che si traducono in un fatto costitutivo, l’illecito, che va provato dal danneggiato, e in un fatto impeditivo, il non averlo potuto evitare, che va provato dalla scuola.
Siccome in rapporto a questo tipo di responsabilità acquista decisiva rilevanza, come si è visto, il fatto illecito di chi con la sua condotta ha causato il danno, è in rapporto a tale condotta che si deve provare che sia stata almeno colposa e di ciò l’onere grava, lo si è già visto, sul danneggiato.
Ma l’autore del fatto o la scuola, cui ne sia imputata la responsabilità, può provare la presenza di una scriminante che valga a rendere la condotta dell’autore non illecita.
Qui rileva il dato che l’azione dannosa si è consumata nel corso di una gara sportiva.
Siccome si tratta di valutare non se sia illecita la condotta della scuola, ma quella del giocatore che con la sua azione ha causato l’infortunio del compagno, non si può prescindere dal valutare il contesto in cui l’azione viene in essere, che è appunto quello di una gara sportiva, sia pure connotata da quegli essenziali e prevalenti aspetti ginnici, anziché agonistici, cui si è prima fatto riferimento.
E’ dunque appropriato il riferimento ai principi elaborati in tema di responsabilità per i danni causati da un atleta ad altro atleta impegnato nel corso di una gara sportiva (sui quali la Corte si è di recente intrattenuta nella sentenza 8 agosto 2002 n. 12012), pur tenuto conto della specificità del caso.
4.1. – Le precedenti considerazioni danno ragione del perché i diversi motivi non sono fondati.
Non è stata fatta valere una responsabilità contrattuale o da fatto illecito inerente all’aver la scuola incluso nei programmi scolastici di educazione fisica lo svolgimento di una partita di pallamano od al modo in cui la partita era stata in concreto organizzata.
E’ stata fatta valere la responsabilità prevista dai commi secondo e terzo dell’art. 2048 c. c. .
Questa non è riferibile al danno causato dall’allievo a sé stesso.
Si può invece applicare al caso del danno che ad un allievo è causato dall’azione di gioco di un altro allievo come lui impegnato nella partita.
Ma è necessario che questa azione sia almeno colposa, mentre la relativa condotta non può essere considerata illecita, se è stata tenuta in una fase di giuoco quale normalmente si presenta nel corso dello svolgimento della partita e rappresenta un mezzo usualmente praticato per risolverla, senza danno fisico, in favore di quello dei contendenti che se ne serve né è stato concretamente caratterizzato da un grado di violenza ed irruenza incompatibili col contesto ambientale e le persone che partecipano al giuoco.
Provare la colpa spetta al danneggiato.
I giudici di merito hanno ritenuto che l’attore avesse provato solo ed in modo sommario la dinamica del fatto ed in sostanza hanno espresso il giudizio che se pure il ragazzo, durante l’azione di giuoco, avesse ricevuto una spinta e questa l’avesse fatto scivolare o cadere in ciò non poteva essere ravvisato un fatto illecito.
Non provato il fatto illecito di un giocatore diverso dall’attore, l’ art. 2048 c. c. non si poteva applicare.
5. – Il ricorso è rigettato.
6. – Le spese del giudizio di cassazione si possono compensare tra tutte le parti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.”