Il tema della responsabilità civile dell’organizzatore di un evento sportivo ed in particolare di una gara di discesa libera di sci è stato esaminato dalla Suprema Corte nella sentenza 28.02.2000 n.2220.
Era accaduto che, durante una gara sciistica di discesa libera svoltasi in Artesina, una giovane sciatrice era rimasta infortunata.
L’azione di responsabilità era stata intentata contro il CONI, la FISI, l’arbitro ed il circolo sportivo quali organizzatori della manifestazione sportiva, ex artt. 2043 e 2050 c.c..
In primo grado, il Tribunale adito, aveva ritenuto sussistere “il difetto di legittimazione passiva della Federazione Italiana Sport Invernali, quale organo tecnico del C.O.N.I” ed aveva ritenuto responsabili in solito l’arbitro ed il C.O.N.I.
In appello, la Corte aveva ritenuto, invece:
(i) che la legittimazione passiva spettava alla F.I.S.I., “che aveva soggettività giuridica ed autonomia in ordine all’organizzazione della singola gara sportiva, e non al C.O.N.I.”;
(ii) “che gli attori non avevano fornito la prova della pericolosità dell’attività, poiché non si poteva condividere il giudizio del Tribunale secondo cui la pista, la mattina dell’incidente, presentava lunghi tratti ghiacciati, nè la pericolosità della pista poteva desumersi dal limitato numero delle concorrenti arrivate al traguardo o dal fatto che i due apripista erano caduti; la Corte, pertanto, concludeva che “la predisposizione della pista e la organizzazione della gara non configurarono attività pericolosa e che gli attori non hanno provato che l’infortunio ….(omissis) sia da addebitare alla colpa del giudice arbitro…”.
La Suprema Corte, in ordine alla responsabilità della Federazione Italiana Sport Invernali (F.I.S.I.) e/o del CONI ha ritenuto erroneo escludere ogni responsabilità della FISI e ha cassato l’impugnata sentenza nella parte in cui la “Corte territoriale, …(omissis), si è limitata ad accertare che la pista, la mattina dell’incidente …(omissis), era sì ghiacciata, ma non per lunghi tratti, ed ha quindi ritenuto inoperante l’art. 702.4 del regolamento tecnico della F.I.S.I., che prevede la non idoneità della pista in caso di “terreno ghiacciato per lunghi tratti” (regola la cui violazione da parte degli organizzatori era stata, invece, accertata e posta a fondamento della sentenza di primo grado).”
Indipendentemente, poi, dalle modalità con le quali tale accertamento di responsabilità è stato compiuto, ha ritenuto decisiva “la considerazione che, in tal modo, la Corte di appello ha escluso la sussistenza di una colpa specifica degli organizzatori, concretizzata dall’inosservanza del regolamento tecnico della F.I.SI.; tale esclusione, però, non comporta automaticamente anche quella di una colpa generica degli stessi organizzatori, e cioè una condotta caratterizzata da negligenza o imprudenza o imperizia, secondo la previsione dell’art. 43 c.p. (valevole anche per la nozione di colpa ex art. 2043 c.c.).
Nel testo della motivazione, quindi, la Corte ha evidenziato su quali basi deve fondarsi un giudizio di responsabilità colposa ed ha chiarito che per la sussistenza di una condotta genericamente colposa possono assumere “rilievo le condizioni di una pista ghiacciata, anche se non “per lunghi tratti”, nel senso che dette condizioni avrebbero potuto rendere non prudente lo svolgimento della gara … (omissis) poiché la pista si presentava comunque pericolosa.”
Erroneamente, quindi, la Corte di appello aveva escluso la responsabilità dell’organizzatore della gara, perché (nella valutazione dell’esistenza o meno della colpa) aveva trascurato di considerare “i seguenti elementi di fatto.
– Innanzitutto la Corte non ha considerato in modo globale coordinato le numerose cadute sulla pista di gara, sia di molti concorrenti. sia degli apripista, nonché le stesse difficoltà incontrate dai soccorritori …(omissis). Per quanto riguarda le concorrenti, la Corte ha preso atto che poche erano arrivate al traguardo, ma non ha attribuito tale fatto a cadute, ipotizzando quale possibile causa del mancato arrivo anche “il salto di una porta”.Ma è fatto notorio che, nelle gare di discesa libera, non esistono porte. Anche per la caduta degli apripista, la Corte ha ipotizzato, come causa alternativa alla “pericolosità della pista erroneamente sottovalutata dal giudice arbitro e dagli allenatori”, “un errore tecnico nella discesa” degli stessi apripista, ipotesi che, oltre ad essere prospettata senza alcun sostegno probatorio, non pone in relazione il fatto con tutte le altre prove acquisite sulle particolari condizioni della pista nel periodo in cui si svolse la gara.
– Secondariamente la Corte non ha tenuto conto in modo logicamente e giuridicamente corretto che si è svolta una gara di discesa libera riservata ai minori, i quali, di regola, sono amanti della velocità e meno indotti a comportamenti prudenti, onde essi hanno bisogno di essere protetti, in attuazione anche dello specifico precetto costituzionale (art. 31, secondo comma, Cost.), che, indirizzandosi alla Repubblica, coinvolge tutti i soggetti e gli organi in essa operanti. Nella sentenza impugnata, al contrario, sì è operata una implicita parificazione dei concorrenti minorenni a quelli maggiorenni quando si è ritenuto che, se fosse stata considerata vera l’affermazione resa come testimone da una delle concorrenti (“il fatto che gli apripista non fossero riusciti a portare a termine il percorso ci sconvolse”), ne sarebbe derivata la colpa esclusiva dei concorrenti (e quindi della Perego), “che, pur sconvolti, non hanno rinunciato alla gara”. Va osservato che tale condotta prudente può essere pretesa in una persona matura, ma non in un minore che difficilmente rinunzia a partecipare ad una gara il cui svolgimento sia consentito dagli organizzatori, su cui incombe perciò una particolare diligenza e prudenza a tutela della incolumità dei minori che prendono parte ad una competizione sportiva.”
Per l’esame del testo integrale della pronuncia, si rimanda a Foro it. 2000, I,1828