In verità il principio di diritto enunciato dalla commissione tributaria non è nuovo, ma l’analisi che i giudici fanno pregiudica sotto diversi profili la strategia finora portata avanti da diverse Direzioni provinciali dell’Agenzia delle Entrate. E’ doveroso dire che la sentenza non esprime in maniera esplicita una censura netta all’operato dell’Amministrazione finanziaria, che si evince solo indirettamente, e tuttavia contiene alcuni elementi utili sui quali ragionare.
Nel merito: un’a.s.d. aveva subito un accertamento dall’Agenzia delle Entrate culminato nel disconoscimento della qualifica di ente non commerciale.
Le motivazioni che inducevano i verificatori a spogliare l’ente della qualifica associativa adducevano una scarsa partecipazione dei soci alla vita sociale desunta principalmente dall’esiguo numero dei soci partecipanti alle adunanze assembleari.
Veniva inoltre contestata la gestione esercitata da un ristretto gruppo di persone identificato nel consiglio direttivo. Inoltre, precisavano i verificatori, il registro soci era costituito da fogli mobili non numerati, il libro dei verbali dell’assemblea dei soci risultava formato da fogli dattiloscritti e solo successivamente incollati sul libro, mancava il libro dei verbali del consiglio direttivo, le convocazioni delle assemblee avvenivano, anzichè con avviso scritto da inviarsi ai soci almeno dieci giorni prima, con affissione in bacheca, e infine le quote mensili corrisposte dagli associati si diversificavano da socio a socio.
La contestazione di tale modus operandi dell’associazione sportiva dilettantistica ha quindi comportato, oltre alla perdita della qualifica di ente non commerciale e all’attrazione alla sfera impositiva di tutte le entrate istituzionali realizzate dall’associazione nell’anno di imposta accertato, anche l’imputazione di tutte le sanzioni, comprese quelle derivanti dal mancato rispetto degli obblighi fiscali e dichiarativi degli enti commerciali.
E’ utile ricordare che per le associazioni sportive dilettantistiche non sussiste alcun obbligo di tenuta dei libri sociali e qualora esista un impianto amministrativo contabile – comportamento da sempre consigliato per consentire un’adeguata e sistematica difesa – non è prevista alcuna modalità di compilazione e tenuta. E’ vero che la stessa Agenzia delle Entrate nel 2007, in una guida dal titolo Le agevolazioni fiscali a favore dell’attività sportiva dilettantistica, scriveva (pag. 10) che gli unici libri sociali da tenere sono il libro soci e il libro verbali assemblee, ma la stessa Agenzia non indica la fonte normativa e l’assunto di per sè non ha alcun effetto di obbligatorietà per le singole associazioni.
Più volte, inoltre, su questa Rivista è stato affrontato il problema della violazione del principio di democraticità, spesso assunto a base degli accertamenti disposti dall’Amministrazione Finanziaria: sinteticamente ne riassumiamo le questioni essenziali, sul punto rinviando, per tutti e da ultimo, al commento alla recente Circolare AdE 9/2013 in Newsletter n. 9/2013.
L’eventuale violazione del principio di democraticità può comportare, e solo in alcuni casi, la perdita delle agevolazioni fiscali previste dal comma 3 dell’art. 148 del T.U.I.R. quali la detassazione dei corrispettivi specifici, ma non comporta in alcun modo, come spesso pretende l’Amministrazione Finanziaria, la perdita della qualifica di ente non commerciale.
In secondo luogo la norma pone alcuni principi sulla base dei quali valutare il grado di democraticità dell’ente: la possibilità estesa a tutti i soci di partecipare alle decisione dell’ente, la trasparenza e la puntualità delle convocazioni, il divieto di limiti temporali alla vita associativa e la possibilità di tutti i soci ad accedere alle cariche associative.
Nella sostanza a tutti i soci devono essere riconosciuti gli stessi diritti, senza discriminazioni e privilegi quali potrebbero essere ad esempio sostanziali discriminazione nell’elettorato passivo, concedendolo solo a una cerchia di soggetti determinati.
E’ necessario inoltre, che dallo statuto emergano in modo trasparente i criteri di ammissione, di permanenza e di esclusione dei soci, le regole di convocazione degli organi sociali e della validità delle loro deliberazioni, le regole inerenti alla redazione e approvazione dei bilanci e rendiconti e la determinazione di idonee forme di comunicazione ai soci di detti atti, affinché gli stessi ne possano prendere visione.
Ecco perché è necessario rispettare sempre un corretto agire amministrativo e contabile: non tanto per il rispetto di inesistenti norme di settore ma in rispetto di un principio di eticità che deve distinguere il sistema sportivo dilettantistico nazionale che deve imparare a vivere la sua vita associativa in modo più preciso e costante in quanto esperienza unica di crescita e coesione sociale e di virtuale esempio di cittadinanza attiva.
In tal guisa è palese che l’assemblea deve essere sovrana, ossia dotata di potere deliberativo su tutte le questioni inerenti alla vita sociale della piccola comunità sportiva ovvero l’associazione.
La violazione del principio di democraticità presupporrebbe pertanto una indagine, di tipo qualitativo, molto più approfondita e accurata, non certo basata solo su semplici indizi o circostanze. La scarsa partecipazione numerica ai momenti assembleari è una scorciatoia che gli uffici finanziari utilizzano per disconoscere i benefici fiscali delle Associazioni ma non ha alcun presupposto giuridico nell’ambito delle norme tributarie e della prassi attualmente in vigore. Potremmo paradossalmente suggerire che se questo medesimo principio venisse applicato anche ai sistemi elettorali delle autonomie locali, molte elezioni dovrebbero essere annullate.
Nella sostanza i giudici tributari respingono il ragionamento prodotto dagli uffici finanziari e richiamano l’art. 7 del d.l. n. 136/2004, convertito in legge n. 186/2004, secondo il quale il Coni trasmette all’Agenzia delle Entrate un elenco delle società e associazioni sportive dilettantistiche che, se sono in possesso dei requisiti previsti dalla legge, possono così fruire delle agevolazioni fiscali.
Analogo ragionamento in passato è stato già evidenziato dalla giurisprudenza tributaria: con la sentenza del 22/02/2012, la CTP di Ascoli Piceno introduce un ulteriore precedente per la difesa degli enti sportivi dilettantistici e avvalora la tesi, da sempre presente in dottrina, che il riconoscimento del Coni per la qualifica di associazione sportiva dilettantistica, sancito dalla norma di settore, non può essere sovvertito dalle verifiche fiscali dell’Amministrazione Finanziaria. D’altronde, anche se in modo diverso, già la Commissione tributaria di Salerno nel 2011 aveva affermato che la scarsa partecipazione di soci all’assemblea, la presenza di manifesti pubblicitari e un avanzo di cassa astronomico non erano indici di per sè sufficienti per far perdere la qualifica di ente non commerciale; e ancora prima, se pur con riguardo a una fattispecie diversa, la Corte di Cassazione con sentenza n. 1717 del 17 novembre 2006 aveva ribadito che un’associazione non diventa una società di fatto solo a seguito della decadenza dalle agevolazioni fiscali