Il contributo a fondo perduto, così necessario per gli operatori nello sport piegati dal più lungo lockdown del periodo pandemico, si concretizza ora con l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri del 19 marzo del Decreto Legge “Sostegni”, ma si rivela insufficiente rispetto all’effettiva necessità di liquidità reclamata a gran voce da a.s.d. e s.s.d. in penuria di entrate e con la spada di Damocle di nuovi potenziali rimborsi o voucher agli utenti.
Vediamo nel dettaglio il contenuto delle disposizioni in merito.
L’articolo 1 prevede l’erogazione di un contributo a fondo perduto per imprese e professionisti, compresi gli enti non commerciali, purché in possesso di partita IVA e quindi comprese le a.s.d. e s.s.d.
Troviamo quindi subito la prima esclusione da ogni contributo per le a.s.d. prive di partita IVA che esercitano esclusivamente attività istituzionali o “decommercializzate” (come le chiameremo in seguito) ai sensi dell’art. 148, comma 3, del testo unico delle imposte sui redditi (T.U.I.R.)
Possono invece essere beneficiari dei contributi tutte le persone fisiche operatori nello sport in possesso di partita IVA, quali istruttori, personal trainer, atleti, a prescindere dal codice “ATECO” utilizzato in sede di apertura della partita IVA.
Viene infatti abbandonato, e anche condivisibilmente, il riferimento ai codici “ATECO” ai fini IVA per individuare i soggetti a cui attribuire il contributo, differentemente quindi dall’impostazione dei decreti “Ristori” dello scorso autunno, facendo ora esclusivamente riferimento al criterio del calo del fatturato.
Il contributo a fondo perduto spetta a coloro che hanno avuto una riduzione media mensile di almeno il 30% del fatturato e corrispettivi dell’intero anno 2020 rispetto all’anno 2019 ed è determinato in misura pari all’importo ottenuto applicando una specifica percentuale – di seguito riportata – alla differenza tra l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020 e l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2019. Specificamente vengono individuate cinque fasce di ristoro basate su ricavi e compensi del 2019, stabilendo che il contributo a fondo perduto sarà pari al:
- •60% della perdita media mensile per ricavi e compensi inferiori a 100.000 euro
- •50% per ricavi e compensi fra 100.000 e 400.000 euro
- •40% per ricavi e compensi fra 400.000 e 1 milione di euro
- •30% per ricavi e compensi fra 1 e 5 milioni di euro
- •20% per ricavi e compensi fra 5 e 10 milioni di euro
Per i soggetti con esercizio sociale a cavallo d’anno (esempio dal 1 settembre al 31 agosto) occorrerà in ogni caso determinare la media mensile dei 12 mesi dell’anno solare 2020 raffrontandola con la media mensile dei 12 mesi dell’anno solare precedente.
È confermato, come per le precedenti misure, un importo minimo di 1.000 euro per le persone fisiche e di 2.000 euro per gli altri soggetti con un massimo di 150.000 euro.
È prevista la presentazione in via telematica della domanda, senza automatismo rispetto alle precedenti richieste, entro 60 giorni dalla data di avvio della procedura telematica, secondo specifiche disposizioni che saranno stabilite con un provvedimento del Direttore dell’agenzia delle entrate.
Potranno presentare domanda i soggetti con partita IVA attiva alla data di pubblicazione del decreto e anche coloro che hanno iniziato l’attività nel 2019.
Ai soggetti che hanno attivato la partita IVA dal 1° gennaio 2019 il contributo spetta anche in assenza dei requisiti di riduzione del fatturato e corrispettivi.
È infine prevista la possibilità di optare, anziché per l’erogazione diretta, per un credito di imposta da utilizzare in compensazione mediante modello F24, in modo da velocizzarne la fruizione.
Il contributo non concorre alla formazione della base imponibile delle imposte sui redditi ai fini IRPEF, IRES e IRAP.
Si applicano le disposizioni già previste nel Decreto Legge 34/2020 “D.L. Rilancio” in merito alle modalità di erogazione del contributo, al regime sanzionatorio e alle attività di controllo.
Il decreto “Sostegni” per le a.s.d. e le a.s.d.
Al di là dei tecnicismi, analizziamo ora la sostanza di questo nuovo intervento per quanto riguarda specificamente le a.s.d. e le s.s.d.
La prima considerazione è che, come detto dianzi, le a.s.d. prive di partita IVA restano escluse da ogni forma di aiuto economico.
Amaramente rileviamo che l’esercizio dell’attività sportiva con la formula associativa e senza l’espletamento di attività “commerciale” non viene ritenuta meritevole oggi di alcun sostegno da parte dello Stato, volendosi privilegiare le attività “economiche” esercitate con partita IVA.
Dimentica il legislatore che per le associazioni sportive, così come per la verità anche le altre categorie di enti indicati nell’art. 148, comma 3, del T.U.I.R. (associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona) le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici – compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto – sono considerate, di principio dall’art. 148 comma 2 del TUIR, come “attività commerciali”, cui viene attribuito il beneficio della “decommercializzazione” dal comma 3 del medesimo art. 148 del T.U.I.R. e quindi della totale defiscalizzazione ai fini delle imposte dirette e indirette (IRES, IRAP, IVA), subordinatamente al possesso di puntuali e specifici requisiti e condizioni (statutari, presentazione del mod. EAS).
Quindi l’assenza di attività commerciale è solo conseguenza di disposizioni fiscali di vantaggio finalizzate a “favorire” l’espletamento di attività socialmente utili.
La mancanza di congruo “sostegno” ora da parte dello Stato appare come una eccessiva penalizzazione e un disconoscimento del servizio sociale svolto dalle associazioni sportive – e vedremo anche delle società sportive dilettantistiche -, premiando, nella sostanza, solo quelle che, in aggiunta all’attività sportiva, esercitano attività “commerciali”, quali sponsorizzazioni, gestione di bar/punti di ristoro, affitto campi a soggetti diversi da associati/tesserati, vendita di materiale sportivo, diritti televisivi ecc.
E questo traspare come una incomprensibile contraddizione della logica di sostegno, che supporta nello sport gestito da associazioni/società sportive quelle che si finanziano anche con l’espletamento di iniziative commerciali a discapito di quelle che si finanziano solo con quote associative/di tesseramento e corrispettivi specifici “decommercializzati” come dianzi evidenziato, ai sensi dell’art. 148, comma 3, del T.U.I.R., e che traggono quindi le loro fonti di sostentamento da quelle che, in gergo, definiamo entrate “istituzionali”.
E ciò è ancora più incomprensibile rilevando che nel decreto “Sostegni” in commento viene disposto l’incremento di 100 milioni di euro del fondo per gli enti del terzo settore riferito ad organizzazioni di volontariato (ODV) iscritte nei registri regionali e delle province autonome, di cui alla legge 266/1991, ad associazioni di promozione sociale (APS) iscritte nei registri nazionale, regionali e delle province autonome di Trento e di Bolzano, di cui all’articolo 7 della legge. 383/2000, nonché ad ONLUS, di cui all’articolo 10 D.Lgs. 460/1997, iscritte nella relativa anagrafe. Tutto questo nel clima di confusione che regna in merito al futuro di questi enti in relazione all’entrata in vigore del D.Lgs 117/2017 (Codice del Terzo Settore) e all’attivazione del Registro Unico nazionale del Terzo Settore.
Una dimenticanza per il settore dello sport?
L’ennesima in un anno di interventi di aiuto economico per fronteggiare le perdite derivanti dalle chiusure delle attività sportive per la pandemia? Se dimenticanza è, non si può non rilevarne la gravità considerando che lo sport è, al pari degli esercizi commerciali della ristorazione, sempre il primo e il più colpito dalle misure restrittive di chiusura a tutela della salute pubblica.
La seconda considerazione riguarda le a.s.d. e s.s.d. titolari di partita IVA per le quali si ripropone con questo decreto la spinosa questione già affrontata con i precedenti decreti in merito all’inclusione o meno dei ricavi “decommercializzati” nel conteggio della riduzione di fatturato e corrispettivi rispetto al 2019.
Rinviando in proposito a quanto già commentato su questa rivista nell’articolo di Stefano Andreani del 4 agosto scorso “Base di calcolo ai fini del contributo a fondo perduto e corrispettivi decommercializzati”, in cui si sosteneva l’inclusione sia dei ricavi commerciali che di quelli “decommercializzati” nella base di calcolo, pur con tutte le cautele e precauzioni del caso, si ritiene opportuno evidenziare in questa sede due elementi.
Il primo è l’orientamento adottato dell’agenzia delle entrate in merito all’erogazione dei contributi a fondo perduto ad a.s.d. e s.s.d.a seguito delle domande presentate con riferimento al Decreto Rilancio (DL 34/2020) che avevano scadenza il 13 agosto u.s.
In proposito ci risulta che per la quasi totalità delle domande presentate l’agenzia abbia inizialmente rigettato le stesse per “controlli contabili” e successivamente, ma solo a seguito di istanza di parte e previa analisi di idonea documentazione, rappresentata dalle fatture attive emesse, dai fogli dei corrispettivi commerciali, da registri IVA compreso quello di cui al DM 11/2/1997 per i soggetti in legge 398/1991, abbia acconsentito – e a tutt’oggi solo per alcune a.s.d. e s.s.d.- all’erogazione del contributo a fondo perduto attenendosi però esclusivamente alla differenza tra i ricavi “commerciali” del mese di aprile 2020, rispetto ad aprile 2019, senza tenere in considerazione i ricavi “decommercializzati”.
E questo per l’agenzia delle entrate in perfetta equiparazione tra a.s.d. e s.s.d., sulla base di propria interpretazione come esposto nella Circolare n. 22/E del 21 luglio u.s. in cui al punto 2.5 trattando delle associazioni di promozione sociale (APS) ha esteso anche alle a.s.d. e alle s.s.d. il metodo di determinazione del contributo a fondo perduto basato solo sui ricavi commerciali escludendo per tutti gli enti non commerciali la possibilità di inclusione nel calcolo i ricavi “decommercializzati”. Nella sua visione, pertanto, l’agenzia delle entrate in merito all’assegnazione dei contributi a fondo perduto ha equiparato le s.s.d. agli enti non commerciali disconoscendo di fatto quanto sostenuto dalla stessa agenzia con la Circolare n.18/E del 1 agosto 2018 nella quale ha espressamente indicato che le s.s.d., “ancorché non perseguano scopo di lucro, mantengono, dal punto di vista fiscale, la natura commerciale e sono riconducibili, in quanto società di capitali, nell’ambito dei soggetti passivi IRES di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a) del TUIR. L’assenza del fine di lucro non incide, pertanto, sulla qualificazione tributaria delle società sportive dilettantistiche di cui all’articolo 90 della legge n. 289 del 2002.Il reddito delle società sportive dilettantistiche senza fini di lucro è, quindi, determinato, in via di principio, secondo le disposizioni del Titolo II, Capo II, del TUIR relative alle società ed agli enti commerciali”.
Contraddittoria poi appare la posizione dell’agenzia delle entrate in proposito con riferimento a quanto la stessa espone al punto 4.3 della medesima Circolare 22/E, citata, in cui si specifica che “vanno sommati i corrispettivi relativi alle operazioni effettuate in detti mesi non rilevanti ai fini IVA”, quali appunto i ricavi “decommercializzati”.
Al di là tuttavia dell’interpretazione ondivaga dell’agenzia delle entrate, spiace rilevare che la mancata inclusione dei ricavi “decommercializzati” nella base di calcolo dei contributi a fondo perduto sottrae alle a.s.d. e alle s.s.d. la parte più consistente della differenza di introiti persi tra un anno e l’altro, e si lascia pertanto di fatto le stesse prive di un concreto sostegno a discapito di ogni principio di aiuto di Stato.
E ancora, considerando che a seguito delle domande presentate in agosto scorso non sono pervenute risposte per tutte da parte dell’agenzia delle entrate, ne consegue che le a.s.d. e s.s.d. escluse per assenza di riscontro si sono viste privare anche del contributo “automatico” previsto dai decreti “Ristori” di ottobre e novembre scorsi pari al “doppio” di quanto spettante in base al decreto “Rilancio” di maggio.
Conclusione: a.s.d. e s.s.d. escluse del tutto o beneficiarie solo minimamente dei contributi a fondo perduto da parte dello Stato.
In ultimo, l’altro elemento da evidenziare è che nella “Relazione illustrativa” all’art. 1 del d.l. “Sostegni” in commento, si specifica che tra i soggetti indicati quali possibili beneficiari del contributo e alle condizioni previste dalla disposizione, risultano anche gli enti non commerciali, compresi gli enti del terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, in relazione allo svolgimento di attività commerciali, facendo emergere quindi non una dimenticanza ma una specifica volontà di ristorare solo se in presenza dell’esercizio di attività commerciali.
Unica modalità che ora resta alle a.s.d. e, certamente con più chances di esito positivo, alle s.s.d. è il ricorso dinanzi alla commissione tributaria a seguito dell’istanza in autotutela per la richiesta di erogazione del contributo determinato includendo anche i ricavi “decommercializzati”, con ulteriore dispendio di energie, costi di causa, e una tempistica di eventuale erogazione certamente rinviata a due/tre anni e del tutto inadeguata alla richiesta “immediata” di aiuto economico.
Non vi sono a ora altre alternative, salvo un ripensamento del legislatore in sede di conversione del Decreto Legge “Sostegno” che davvero, e non solo a parole, confermi come pure indicato nella relazione illustrativa, che “la finalità perseguita dalla disposizione è quella di sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica Covid-19”.
Si completa questa disamina con un esempio di applicazione del contributo a fondo perduto del Decreto Sostegni, ipotizzando una s.s.d. con un ammontare complessivo di ricavi nel 2019 (anche qui si porrà la complessità per i soggetti con esercizio a cavallo d’anno) di euro 410.000 di cui Euro 350.000 istituzionali (decommercializzati) ed euro 60.000 commerciali con media mensile di quest’ultimi pari ad Euro 5.000, e che nel 2020 ha invece ottenuto ricavi complessivi per euro 280.000 di cui euro 256.000 “decommercializzati” ed euro 24.000 con media mensile di quest’ultimi pari ad Euro 2.000.
Alla luce delle attuali disposizioni a fronte di una complessiva riduzione di ricavi di euro 130.000 – corrispondenti a una riduzione del 32% rispetto all’anno precedente – con le limitazioni sopra esposte di conteggio basato sui soli ricavi commerciali, il contributo a fondo perduto spettante sarebbe pari a euro 1.200, così determinato: 40% di Euro 3.000 (differenza tra l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2020 e l’ammontare medio mensile del fatturato e dei corrispettivi dell’anno 2019). L’importo viene elevato a euro 2.000 pari al minimo previsto dalla legge.
Davvero troppo poco. La speranza a questo punto si rivolge ai contributi che dovrebbero provenire dal Dipartimento per lo Sport, come anticipato anche a mezzo stampa dalla neo-sottosegretaria allo sport, Valentina Vezzali. Ma forse ora qui non sono solo i soldi da recuperare: occorre recuperare la fiducia del settore.