* * *
D’altra parte – se è pur vero che è di “vitale” importanza che presso strutture sportive, società, associazioni ecc. vengano installati dei defibrillatori, d’ora in poi D.A.E. (Defibrillatore Automatico Esterno ) – lo è senz’altro di più la formazione di persone in grado di potere intervenire tempestivamente e con estrema cura. Addestrare dei volontari è di per sé cosa semplice (vista la forte motivazione), altra cosa dovere imparare perché me lo chiede una legge dello Stato.
Il percorso educativo, che muove dall’ambito familiare per proseguire nel processo formativo scolastico, nel mirare alla crescita della futura persona dovrebbe avere un’attenzione costantemente rivolta alla prevenzione, all’aggiornamento e alla solidarietà. Elementi, questi, che ritroviamo anche nel tema che qui ci interessa: i mezzi salva-vita e in particolare il defibrillatore. Prima di guidarvi passo passo verso le modalità di soccorso e l’eventuale utilizzo del DAE, ecco alcune considerazioni di principio:
– TUTTI LO POSSONO FARE;
– FARE QUALCOSA E’ SEMPRE MEGLIO CHE NON FARE NIENTE;
– IL PROSSIMO SONO IO.
Ma alla fin fine cos’è il defibrillatore? a cosa serve? quando si usa? come si usa? comporta dei rischi? come fare per avere una preparazione adeguata per usarlo? A queste domande proverò a dare risposta.
1. Cos’è il Defibrillatore (DAE)?
E’ un supporto che serve ad erogare una o più scariche elettriche quando il cuore non batte o batte in modo non coerente con la circolazione del sangue (è in fibrillazione). E’ una macchina, dotata di batteria, che può essere di vari tipi a seconda del personale che dovrà utilizzarlo.
Noi prenderemo in esame quello semi-automatico che viene utilizzato nei corsi per i soccorritori occasionali (personale laico). Questi DAE guidano il soccorritore con indicazioni chiare, a voce (tramite un altoparlante) e scritte (su un display), dopo aver valutato lo stato del paziente con una analisi, invitando il soccorritore a eseguire manovre che possono prevedere l’erogazione di una scarica e/o l’effettuazione di una R.C. P..
2. Cos’è l’R.C.P.?
Altro non è che la Rianimazione Cardio-Polmonare e consiste nel dare aria al soggetto che non respira e comprimere il cuore dello stesso che non batte. Ma come affronto il soccorso con una persona stesa a terra?
3. Valutazioni
Nell’avvicinarsi alla persona, sia che si abbia visto cosa è successo sia che si sia giunti sul posto in un momento successivo, la prima cosa da valutare è la sicurezza dell’ambiente: è un osservazione fondamentale, che nella concitazione del momento potrebbe essere sottovalutata e che invece non deve mai venire meno (bel guaio se succede qualcosa anche al soccorritore! poi sono in due ad essere bisognosi di soccorso…).
Si passa quindi al controllo dell’infortunato: se si muove, se tossisce e se respira: questi sono i segni di circolo.
Si può prenderlo per le spalle e anche scuotere chiedendogli ad alta voce “Come va?” Se non risponde si procede alla valutazione del respiro.
Per vedere se respira, posto che i primi due segni sono mancanti, si utilizza un metodo che permetterà di valutare efficacemente il respiro: Metodo G.A.S.
Ci si posiziona di fianco al paziente, in ginocchio all’altezza del torace con il viso vicino alla sua bocca, e lo sguardo rivolto verso i suoi piedi: contando da 1 a 10 per massimo 10 secondi.
G.uardo se il torace si solleva
A.scolto se c’è rumore di respirazione
S.ento se sulla mia guancia arriva il soffio di aria del paziente.
Se non respira si chiama il 118 (un numero raggiungibile anche in assenza di credito sul telefono cellulare!). L’operatore del 118 chiederà una serie di informazioni importanti:
– Dove vi trovate
– Cosa è successo
– Quanti soggetti sono coinvolti, che età (approssimativa) possono avere, quali sono le loro condizioni. Nelle indicazioni che seguono faremo riferimento alle manovre per un soggetto adulto
– Cosa siete in grado e siete disponibili a fare nell’attesa dell’ambulanza
– In certi casi il numero di telefono da cui chiamate
La comunicazione va chiusa quando lo dice l’operatore.
Se si è disponibili ma non sono stati fequentati corsi di primo soccorso, l’operatore darà istruzioni che torneranno senz’altro utili. Queste indicazioni sono:
1) come posizionarsi vicino al paziente;
2) come effettuare le compressioni toraciche (che erano anche conosciute come “massaggio cardiaco”);
3) come effettuare la respirazione bocca – bocca (se ci si sente di farla).
La posizione da assumere per il massaggio cardiaco deve essere “comoda”: bisogna porsi in ginocchio con i talloni uniti di fianco al paziente, all’altezza del torace. Consiglio di far passare la linea delle spalle del paziente in mezzo alle nostre gambe così ci si potrà spostare verso il capo e verso il torace con un buon equilibrio. Al centro del torace del paziente, sulla metà inferiore dell’osso centrale chiamato sterno, viene appoggiata la parte della mano compresa tra il polso e il palmo della mano stessa (mi piace chiamarla “calcagno della mano”; lo so che è improprio ma dà l’idea di una parte dura); si appoggia l’altra mano sulla prima e si intrecciano le dita delle due mani fra di loro; le braccia vanno tenute tese perpendicolarmente al torace del paziente.
Assunta questa posizione di partenza si esegue una serie di spinte verso il basso abbassando il torace del paziente di 5 cm; la frequenza delle compressioni deve essere di almeno 100 al minuto.
4. Respirazione bocca – bocca
Se ci si sente in grado di fare la respirazione bocca-bocca si deve inclinare il capo del paziente all’indietro mettendogli una mano sulla fronte e chiudendogli il naso con pollice e indice; con indice e medio dell’altra mano posti sotto il mento si spinge indietro il capo del paziente; con la propria bocca si va a coprire in modo ermetico la bocca del paziente e si soffia lentamente aria nei polmoni fino a vedere che il torace si solleva; si toglie la bocca per consentire l’espirazione e poi si procede a una seconda insufflazione. Appena fatta questa seconda ventilazione si torna a fornire le compressioni sul torace. Così di seguito per 5 cicli che dureranno circa due minuti. Il rapporto quindi è 30:2, 30 compressioni seguite da 2 insufflazioni.
Se non ci si sente di fornire le ventilazioni, le sole compressioni vanno eseguite per 2 minuti
Dopo questo primo ciclo di due minuti si valuta lo stato del paziente; se non si è ripreso si continua per un altro ciclo e così via fino a:
– arrivo di una persona che ne sa quanto noi o più di noi e che ci può supportare anche con il cambio;
– quando arriva l’ambulanza del 118;
– se si è fisicamente esausti e non si è più in grado di fare abbassare sufficientemente il torace con le compressioni
– quando arriva un medico che ne constata il decesso (fatto molto triste ma di cui non possiamo colpevolizzarci avendo fatto tutto il possibile);
– quando il paziente si riprende (e questa è una meravigliosa gratificazione!).
E se c’è a disposizione un defibrillatore?
5. Uso del DAE
Se è stato seguito un corso di formazione all’uso del DAE e si ha un attestato che permette di utilizzarlo, appena possibile, scoperto il torace del paziente, si applicano le placche adesive che conducono la scarica elettrica; queste vanno posizionate una sotto la clavicola destra e l’altra sul lato sinistro del torace sotto l’ascella; va quindi inserita, se ancora non lo fosse, la spina degli elettrodi nella presa del DAE.
A questo punto, dopo avere chiesto ad eventuali presenti di allontanarsi, ci si accerta di non essere a contatto con il paziente e si accende il DAE.
Tramite l’altoparlante, quest’ultimo per prima cosa inizierà annunciando che è in corso una analisi; in base all’esito darà una delle due seguenti indicazioni:
a) il DAE richiede “premere shock”: dopo avere ricontrollato che nessuno stia toccando il paziente, verrà premuto il tasto corrispondente (in genere di colore rosso) per erogare la scarica;
b) il DAE annuncia “shock non consigliato”: si dovrà riprendere al più presto la RCP iniziando con le compressioni toraciche.
E se si è in due ?
Se sono presenti due soccorritori:
– il primo si occuperà dell’RCP;
– il secondo preparerà il DAE.
Appena il DAE sarà pronto e acceso, il primo soccorritore interromperà l’RCP e da questo momento si seguiranno le indicazioni.
6. Conclusioni
La mia speranza, nello scrivere queste brevi note, è anzitutto quella di aver potuto offrire ai lettori di Fiscosport – la maggior parte dei quali vivono in diretto contatto con il mondo dello sport – alcune informazioni utili: ma non solo, perchè mi auguro anche che dalla lettura di queste righe nasca la voglia e la curiosità, in chi si avvicina per la prima volta al tema del primo soccorso, di approfondire e dedicare il giusto tempo per acquisire la corretta formazione.
E non solo dunque perchè l’utilizzo degli strumenti salva-vita è ora all’attenzione del legislatore… Se penso alla mia esperienza mi rendo conto che l’85% del mio tempo vigile (da quando mi sveglio al mattino fino a quando ritorno a dormire) trascorre con persone che hanno per me una importanza particolare: l’amore per i miei cari, l’amicizia per le persone con cui condivido momenti lieti e non, la vicinanza sul posto di lavoro, la parte ludica e sportiva. Con tutti e a tutti mi lega qualcosa che mi farebbe fare di tutto per aiutarli in caso di bisogno. Anche per questo motivo, unitamente ai miei colleghi, porto avanti il progetto “Conoscere per salvare una vita”. Negli anni abbiamo formato centinaia e centinaia di giovani studenti delle scuole superiori e negli ultimi anni tale insegnamento fa parte del Tirocinio didattico presso la Facoltà di Scienze Motorie dell’Università “Carlo Bo” di Urbino.
“E’ un atto d’amore nei confronti di chi si ama e quindi del prossimo” (A. Bernardi): una affermazione che spiega senz’altro al meglio l’importanza di questo tipo di educazione.
Valentino Borrelli, Docente di Ed. Fisica presso l’ITG “GENGA” di Pesaro e Professore a contratto presso la Facoltà di Scienze Motorie dell’Università “CARLO BO” di Urbino