Qualificata “Edizione speciale per Torino capitale europea dello sport 2015” è stata pubblicata dalla Direzione Regionale delle Entrate del Piemonte la guida “Associazioni Sportive Dilettantistiche: come fare per non sbagliare”, che segue, con risultati certamente positivi, l'impostazione “divulgativa” delle varie guide che l'Agenzia delle Entrate via via pubblica: linguaggio chiaro, grafica accattivante, utili schemi riassuntivi, e soprattutto indicazioni precise per i contribuenti.
Uno strumento certamente utile, quindi, sia per i dirigenti sportivi, che vi trovano precise e “rassicuranti” indicazioni sul comportamento da tenere nei vari aspetti della vita associativa, sia per i loro consulenti, che vi trovano una sorta di “certificazione” di una serie di comportamenti che sapevamo essere corretti ma che in sede di verifica continuavano talvolta a essere contestati.
La Guida è abbastanza corposa e in questo articolo, seguendone lo schema, segnaliamo i passaggi che ci sono apparsi più significativi e soprattutto quelli che presentano aspetti di novità. Oltre a quelli, naturalmente, che non ci convincono affatto…
1. Marche da Bollo
Nel capitolo “Costituzione e gestione e gestione di una a.s.d.” troviamo una indicazione sicuramente utile: le marche da bollo da apporre sull'atto costitutivo (e su qualsiasi altro atto) da sottoporre a registrazione devono avere data di emissione non successiva alla stipula. Dato che tutte le sedi dell'Agenzia sposano tale principio e in caso di violazione irrogano le relative sanzioni, e rispettarlo non è certo difficile, bene ha fatto la D.R.E. a sottolinearlo in grassetto. E non ci pare il caso di discutere sul fatto che tale interpretazione sia o meno corretta.
2. Modello EAS
Sicuramente errata è invece l'affermazione, più volte ribadita, che “La mancata presentazione del Modello EAS comporta l'esclusione del regime agevolativo a favore degli enti associativi”, perchè l'art. 30, I comma, del D.L. 29/11/2008 n. 185 stabilisce che la presentazione del Modello EAS è condizione indispensabile per poter fruire della c.d. “decommercializzazione dei corrispettivi specifici”, non anche delle altre agevolazioni fiscali.
Altrettanto errata, o quantomeno fuorviante, è l'indicazione che il Modello EAS deve essere presentato "dalle a.s.d. … che effettuano cessioni di beni (ad es. somministrazione di alimenti bevande, vendita di materiali sportivi e gadget pubblicitari) e prestazioni di servizi (es. prestazioni pubblicitarie, sponsorizzazioni) rilevanti ai fini dell’IVA e delle imposte sui redditi".
L'affermazione non è del tutto errata, ma sono assolutamente fuorvianti gli esempi fra parentesi, perchè ciò per cui è indispensabile la presentazione del Modello EAS è poter fruire della c.d. decommercializzazione di cui all'art. 148 T.U.I.R., quindi:
– il Modello EAS deve essere presentato dalle associazioni che svolgono attività oggettivamente commerciale (prestazioni dietro pagamento di corrispttivi specifici), che viene decommercializzata perchè svolta nei confronti di soci, tesserati, ecc.; e tale unica tipoligia di attività commerciale per la quale rileva la presentazione dle Modello EAS non è indicata fra gli esempi
– ai fini delle altre attività commerciali (quelle esemplificate dalla Guida) la presentazione del Modello EAS è assolutamente irrilevante, dato che commerciali sono e commerciali rimangono, nè è prevista una specifica sanzione per l'omessa presentazione del modello.
3. Libri sociali
Assolutamente corretta è, e ci fa piacere che finalmente se ne dia atto in un documento ufficiale, la chiara ed esplicita affermazione che i libri sociali “non sono obbligatori”, come altrettanto corretto è il prosieguo della frase: “la redazione, la conservazione e l'aggiornamento dei libri sociali consente di tracciare in modo ordinato le fasi importanti della vita associativa”. Anche se poi, a pag. 31, fra gli adempimenti obbligatori, è scritto “tenere il libro soci e il libro delle assemblee” …
Da sempre ci battiamo contro verbali di verifica nei quali dalla mancata istituzione o corretta tenuta dei libri sociali viene fatto derivare automaticamente il disconoscimento della qualifica di ente non commerciale, e da sempre raccomandiamo alle associazioni di tenere tali libri nel modo più chiaro e completo possibile.
Il chiarimento, in parole povere, che i libri non sono obbligatori ma che è bene tenerli è estremamente importante: soprattutto nelle piccole realtà (che sono piccole anche nelle risorse per seguire gli aspetti amministrativi) accade spesso che la tenuta dei libri sia trascurata, ma che l'effettività del rapporto associativo possa essere dimostrata in altro modo, anche solo con un banale questionario distribuito a tutti o gran parte dei soci.
In queste realtà abbiamo visto più di un verificatore basare avvisi di accertamento sulla sola mancanza dei libri, con effetti spesso devastanti.
Infondata è l'affermazione “L'ammissione si perfeziona nel momento in cui il richiedente paga la quota di iscrizione”, dato che le modalità di ammissione del nuovo socio sono liberamente stabilite dallo statuto, ma dato che questo è ciò che abitualmente accade nella pratica, non ci pare che da essa derivino conseguenze dannose alle a.s.d.
Infine, troviamo scritto che per lo scioglimento dell'associazione è necessaria l'approvazione di almeno tre quarti dei soci.
Tale principio è stabilito dalla legge per le sole associazioni riconosciute (art. 21, ultimo comma, c.c.) ma è effettivamente stato dichiarato applicabile anche alle associazioni non riconosciute da alcune sentenze di legittimità (Cass. 5791/81 e 1408/93). L'affermazione dell'Agenzia ci pare quindi sostanzialmente corretta.
6. Affitto della struttura sportiva
Passando al capitolo successivo della Guida (“E fiscalmente?”), troviamo una risposta di grandissimo interesse, perchè affronta una problematica molto comune e la risolve in modo corretto, contrariamente a quanto spesso accade in sede di verifica.
La domanda è: “Mettere a disposizione le proprie strutture sportive a fronte di corrispettivi specifici genera reddito d'impresa?”
La risposta che viene abitualmente data in sede di verifica è sì, e ciò nasce dalla volontà di contrastare gli abusi commessi in passato da pseudo-associazioni che, dopo essersi iscritte al Registro CONI senza poi svolgere effettivamente attività sportiva, hanno realizzato o preso in locazione impianti sportivi, affittandoli poi “a ore” per lo svolgimento di attività sportiva, in particolare calcetto, da parte di altre associazioni.
Dalla legittima e lodevole volontà di punire tali attività commerciali “mascherate” sono però derivate contestazioni a non finire a carico di associazioni che, avendo in gestione impianti sportivi (molto spesso pubblici) e nel rispetto delle previsioni contenute nell'atto di affidamento, “subaffittano” l'impianto ad altre associazioni, per un certo numero di ore.
La risposta della Guida mantiene il principio generale (“genera reddito d'impresa”), precisa che può fruire della decommercializzazione di cui all'art. 148, e ribadisce il principio generale che “andranno esaminate le concrete modalità di svolgimento dell’attività e tutti gli elementi per valutare se si tratta di un’attività lucrativa piuttosto che volta al perseguimento dello scopo sociale”.
Non possiamo che condividere.
Proseguendo, troviamo una affermazione che ha immediatamente scatenato forti (e giustissime) reazioni da parte dei più attenti lettori, ma che personalmente riteniamo più frutto di un banale errore che della volontà di stravolgere principi da tempo pacificamente condivisi.
Nell'illustrare il regime di cui alla Legge 398/91 i proventi delle associazioni vengono suddivisi fra quelli che concorrono a formare il “plafond” del 250.000 euro e quelli estranei a tale conteggio: plusvalenze, premi di addestramento, proventi da attività commerciali connesse agli scopi istituzionali realizzati nell'ambito dei due eventi per un massimo di 51.645 euro di cui all'art. 25 della legge 133/99.
Successivamente, viene esposta una tabella che distingue, ai fini delle imposte sui redditi, i proventi che concorrono alla formazione del reddito imponibile forfettizzato da quelli che non vi concorrono, e nuovamente tornano i proventi da attività connesse di cui sopra.
Preliminarmente a tali tabelle, la Guida si pone il problema di “Cosa si intende per attività commerciali connesse agli scopi istituzionali”, definendole come “le attività strutturalmente funzionali alle manifestazioni sportive e rese in concomitanza con le medesime, quali, ad esempio, vendita di materiali sportivi e di gadget pubblicitari, sponsorizzazioni correlate all’evento specifico, cene sociali, lotterie”.
Fin qui, a parte l'affermazione che fra i ricavi commerciali vanno considerati anche quelli fatturati ma non incassati, che sappiamo essere la posizione dell'Agenzia ma che continuiamo a ritenere contraria alla legge, non ci pare che vi siano contestazioni da sollevare.
Successivamente però, nel determinare l'IVA da versare, la Guida afferma che la detrazione forfetaria (1/2 o 1/3) si applica solo a quella derivante dalle operazioni direttamente connesse agli scopi istituzionali, e non a quella derivante dalle altre operazioni commerciali.
Tale affermazione è talmente infondata (a meno di se non …….) da farci ritenere, come abbiamo detto sopra, che gli estensori della Guida abbiano semplicemente confuso le due fattispecie: l’attività commerciale svolta in occasione dei “due eventi” e quella svolta “ordinariamente”. In caso contrario, la posizione dell’Agenzia ci pare assolutamente non condivisibile.
Altrettanto evidente frutto di una svista è l’affermazione che sugli atti, le ricevute e le quietanze non è dovuta imposta di bollo. Tale esonero opera solo per le federazioni ed enti di promozione riconosciuti dal CONI.
9. Rimborsi spese
Passando al capitolo “I compensi erogati dalle a.s.d.”, per quanto riguarda i rimborsi spese, troviamo l’affermazione che debbono “essere autorizzate dal consiglio direttivo”. E’ evidentemente la trasposizione in ambito associativo di una regola di generale applicazione per le società, ma non possiamo certo essere d’accordo, per più motivi:
– perché “L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati” (art. 36 c.c.)
– perché fra i requisiti di Legge c’è la “sovranità dell’assemblea”, quindi paradossalmente è quello l’organo che dovrebbe prendere la delibera
– perché nessuna disposizione di Legge lo impone.
Non stiamo facendo sterile polemica su dettagli della Guida, semplicemente ben sappiamo come i verificatori tendano spesso ad applicare rigorosamente le direttive ufficiali del proprio datore di lavoro, e non vorremmo certo ritrovare la violazione di questa (inesistente) disposizione fra le contestazioni nei futuri p.v.c..
Nel capitolo intestato “Come finanziare una a.s.d.” troviamo un’affermazione che condividiamo assolutamente e che ci piace segnalare: “Se l’ASD non compila lo specifico rendiconto, le somme non vengono automaticamente tassate, sempre che (in caso di controllo) l’ente sia in grado di documentare il possesso dei requisiti”, richiamando la Circolare 9/2013.
Siamo assolutamente d’accordo, e fa piacere vederlo riportato con chiarezza in un documento ufficiale dell’Agenzia.
11. Contestazione attività sportiva
L’ultimo capitolo è intitolato “E se arriva un controllo?” e vi troviamo un’indicazione della quale non è facile individuare la portata, ma che riteniamo comunque di grande importanza: “Nel caso in cui dai controlli fiscali risulti che l’ASD, pur essendo iscritta al registro del CONI, non svolga nessuna attività sportiva e/o i proventi percepiti abbiano natura esclusivamente commerciale, l’Amministrazione effettuerà una segnalazione al CONI e rileverà la necessità di recuperare le imposte relative ai proventi non dichiarati”.
Dall’ultimo periodo non ci pare del tutto chiaro quale debba essere il comportamento dell’Ufficio: la necessità di recuperare le imposte sarà nel p.v.c., con l’esposizione di un rilievo, o nella segnalazione al CONI, rinviando l’esposizione del rilievo al momento in cui, all’esito di tale segnalazione, il CONI avrà cancellato l’associazione dal Registro?
Sappiamo che in questo momento alcuni Uffici seguono la prima procedura, altri la seconda, e sarebbe ovviamente estremamente opportuno che il comportamento venisse uniformato seguendo sempre la seconda, che appare decisamente più rispettosa del principio che “il CONI è l’unico organismo della effettiva attività svolta dalle società e associazioni sportive dilettantistiche” (art. 7, I comma, D.L. 136/2004).
Importante ci pare anche la prima parte della frase, nella quale si richiama il principio, sul quale non possiamo che essere d’accordo, che il disconoscimento della qualifica di a.s.d. opera solo se essa non svolga nessuna attività sportiva e/o percepisca esclusivamente corrispettivi commerciali, non anche, come abbiamo letto in molto verbali, se l’attività sportiva è solo parziale, o l’attività commerciale genera la maggior parte dei ricavi.
In conclusione, molte conferme, alcuni spunti di riflessione e alcune affermazioni sulle quali non possiamo essere d’accordo, ma se il 99% delle regole sono chiare e condivise, l’Ufficio e i consulenti della a.s.d. possono concentrare l’attenzione sui pochi punti di disaccordo per cercare di risolverli, e i dirigenti delle a.s.d. possono lavorare, quantomeno al 99%, in tranquillità.